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E venne il giorno delle colombe.

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Debboconfessarlo: la dichiarazione del Cavaliere è stata, per me e per molti colleghi parlamentari, un gran sollievo. Ecco, direte voi, i soliti deputati attaccati al cadreghino e alle sorti future del proprio vitalizio... In questo caso, in effetti, si tratta pure d'altro: trovavo, infatti, incomprensibile e assolutamente masochistico il clima da cupio dissolvi che avvertivo nell'ultima settimana. E non sapevo neppure rispondere ai tanti elettori del centrodestra che mi hanno telefonato chiedendo, con aria prima imbarazzata poi sempre più irata, perché diavolo facessimo quasi apposta a distruggere tutti gli aspetti positivi di questo governo. Sinceramente non trovavo motivi plausibili. A rifletterci bene, le elezioni anticipate — sollecitate indirettamente anche da alcuni giornali moderati ma non certo dal "Tempo" — avrebbero significato una figuraccia e anche una sincera sconfitta per molti di noi. A cominciare, appunto, dal sistema bipolare tanto osannato e già destinato ad abortire a due anni dalla sua nascita definitiva. Se, infatti, già a sinistra il varo del Pd, con la fusione tra ex diessini ed ex margheritini, sta facendo passi indietro e la costola di Rutelli si è ormai staccata, anche nel Pdl le elezioni anticipate sarebbero, probabilmente, sfociate in una secessione dei finiani. In altre parole, così facendo, il Pdl avrebbe rischiato di dover contare in una maggioranza risicata soprattutto al Senato e il Paese sarebbe diventato davvero ingovernabile. Insomma, il ritorno alle urne non avrebbe avvantaggiato nessuno dei due grandi contendenti: né il Pdl, né il Pd. In ultima analisi, l'unico che ci avrebbe guadagnato sarebbe stato Casini che, magari, avrebbe potuto dare vita al Grande Centro con un'alleanza con Rutelli e con i possibili secessionisti finiani. In definitiva, dunque, sarebbe stato issare la bandiera bianca del bipolarismo appena abbozzato. Ma ora Berlusconi ha messo i puntini sulle «i»: si va regolarmente avanti senza tante rotture con Fini. Sì, dunque, al dibattito interno ma nessuna rottura clamorosa. Perché, come ha detto il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, il partito non è una caserma, ma neppure un bordello dove, chiunque passi di lì, può sempre dire la sua un po' troppo liberamente e senza alcun ordine di scuderia.

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