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Tre mosse per uscire dal tunnel

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Scriviamo da alcuni giorni su questo giornale che la maggioranza di governo a tutto deve pensare tranne che a suicidarsi e che invece occorre rimettere l'agenda delle cose da fare in cima alle preoccupazioni di ministri e parlamentari. Troppe voci invece, spesso provenienti anche dai giornali meno ostili al governo, hanno soffiato sul fuoco, fantasticando su scenari incendiari che metterebbero seriamente a rischio il senso stesso di quella grande operazione politica che si chiama Popolo della Libertà e che si traduce in un esecutivo sostenuto dalla più ampia maggioranza mai avutasi nel Parlamento della Repubblica. Le parole di Berlusconi (cui consigliamo insistentemente di non cambiare idea), mettono la pietra tombale su quest'idea tanto intrigante quanto sbagliata di andare ad elezioni anticipate e aprono una nuova fase della politica italiana, dopo un mese di forte turbolenza. In questa fase servono tre mosse nette e definitive, di quelle che gettano il passato alle ortiche. La prima è lavorare in Parlamento a una norma sul processo breve che non si riveli una bomba atomica per il sistema giudiziario e non finisca respinta dal Capo del Stato e poi bocciata dalla Corte Costituzionale. Insomma bisogna lavorare di fino, con il supporto essenziale di politici esperti e costituzionalisti intelligenti, magari evitando approcci troppo "avvocateschi". Nel frattempo deve essere subito avviato un nuovo Lodo di rilevanza costituzionale, magari affiancato dal ritorno all'immunità parlamentare, non a caso presente nel testo originario della nostra Carta Suprema. La seconda mossa è spingere l'acceleratore sull'attività di governo, scegliendo la via delle "riforme che si toccano e si vedono", cercando di dare soddisfazione (fiscale innanzitutto) a quelle categorie che votano massicciamente a destra. Il terzo punto è forse il più importante di tutti. Il Pdl nato da pochi mesi stenta a diventare un partito, anche per la difficile convivenza tra anime tanto diverse. Invece Berlusconi ha tutto l'interesse ad avere dalla sua un partito vero e forte, capace di prendere decisioni e di fare da "scudo" politico al capo del governo. Tutto ciò è certamente estraneo alla mentalità del Cavaliere, ma quello che valeva per Forza Italia non può valere alle stesso modo per il nuovo partito. Un esempio per tutti: non c'è motivo sensato per metter sulle spalle di Berlusconi anche le decisioni sui candidati alle regionali (Casentino compreso). Il partito se ne deve occupare, in una divisione di ruoli virtuosa. In fonda la Dc così faceva. Non a caso ha governato per quasi cinquant'anni.

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