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È il primo passo verso uno Stato che merita di essere più agile

Renato Brunetta

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Bisogna ammetterlo: è impossibile non guardare con favore le numerose iniziative del ministro Renato Brunetta, che ha deciso (vivaddio!) di sposare le ragioni della gente comune contro quelle della burocrazia. Dopo la «fase uno» che ha visto il ministro intraprendere una doverosa battaglia volta a smascherare i cosiddetti fannulloni, riuscendo a ottenere un'effettiva riduzione dei tassi di assenteismo, sta ora per partire la «fase due». Nel presentarla, il ministro ha parlato addirittura di un obbligo alla gentilezza e alla cortesia: ricordando, in sostanza, che i funzionari dello Stato sono lì perché il resto della società - con le tasse - paga loro lo stipendio. Ed è quindi giusto e doveroso che utilizzino le buone maniere e facciano il possibile per soddisfare il pubblico. Anche a costo di sfidare l'impopolarità (e infatti è diventato un po' la «bestia nera» della sinistra radical-chic e del sindacalismo più stantio), il ministro procede lungo la propria strada: che ha elementi simbolici, ma punta anche ad avere significative ricadute concrete. Procede come un panzer, anche perché sa bene che moltissimi cittadini apprezzano tutto ciò, così come i migliori dipendenti statali. Intervenendo a un convegno sulla posta elettronica, il responsabile del dicastero della Funzione Pubblica ieri ha pure annunciato che nell'arco di un mese i due milioni di professionisti italiani dovranno disporre di quella posta elettronica certificata grazie alla quale sarà molto più facile dialogare con l'amministrazione. Questa stessa possibilità, tra un anno, sarà disponibile a ogni cittadino, in modo tale che in numerose circostante sarà possibile evitare le code, i moduli cartacei e le altre tipiche diavolerie del nostro (infelicissimo) rapporto con lo Stato. Brunetta ha ragione nell'insistere su questi temi, perché per il Paese l'apparato pubblico italiano è davvero una palla al piede. Imprese tra le più dinamiche e reattive si trovano costantemente azzoppate da una montagna di norme barocche, che vengono per giunta malgestite da una burocrazia tanto inefficiente quanto costosa. Tutto questo, però, non basta. È necessario infatti che il governo passi al più presto alla «fase tre». Se l'apparato statale è oggi in grave ritardo rispetto al resto della società è perché, strutturalmente, risponde a logiche diverse. Brunetta fa bene a pungolare e bastonare, blandire e incentivare, innovare e rivoluzionare. Tutto ciò è giusto e necessario, ma se ogni volta che si entra in un ufficio postale sembra quasi di tornare nell'Italia degli anni Cinquanta il vero motivo è che il settore pubblico è un problema in quanto tale: e allora è urgente che ci si orienti verso una generale riduzione della presenza dello Stato. Provare a far funzionare meglio la macchina della burocrazia è una buona cosa, nel breve termine. Ma nel medio e lungo termine quello di cui c'è bisogno è una vera rivoluzione liberale, che porti l'elasticità e la vitalità del privato anche in ambiti che da troppo tempo consideriamo, sbagliando, necessariamente di competenza dei funzionari pubblici o comunque di aziende parastatali.   Se l'edicolante che ogni giorno mi vende il giornale è quasi sempre gentile, mentre lo è di rado l'impiegato delle ferrovie o il docente universitario, è perché nel primo caso c'è anche un «interesse» a comportarsi bene. Ma grazie a un ampio programma di privatizzazioni e liberalizzazioni questo interesse a fare meglio il proprio dovere potrebbe spingere un po' tutti noi a diventare più moderni, più rapidi, più efficienti. E perfino - non ci si sorprenda della cosa - più cortesi e disponibili.  

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