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Il racconto di Mutolo: «Negli anni '70 dovevamo rapire Berlusconi»

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Mancosapevo che si chiamava così. Ci avevano detto: quello di Milano 2». Lo dice a Vanity Fair Gaspare Mutolo, il pentito di mafia che ha finito di scontare la pena, parlando dell'impresa più clamorosa a cui avrebbe dovuto prender parte ma che «non andò mai in porto». «Allora il capo dei capi era Gaetano Badalamenti e aveva proibito i sequestri in Sicilia — spiega Mutolo — Non c'era problema, con tutti i ricchi che stavano al Nord. Allora li facevamo in Lombardia, roba pulita: mai donne e bambini, niente orecchie tagliate, niente sangue. Trattativa, pagamento, restituzione. Eravamo in 18 per rapire Berlusconi, c'era anche Contorno. Poi arrivò il contrordine». In seguito, racconta il pentito al settimanale, per tenere alla larga Turatello e altri malintenzionati, «Berlusconi assunse Mangano, lo stalliere. Quello era uno in gamba, diciamo così». Nell' intervista, Mutolo ricorda la sua passione per la pittura e per i quadri e che solo oggi — dopo 25 anni — può firmare con il proprio nome (a «rubargli» le opere fu per primo il boss Luciano Liggio, che autografava le sue tele più riuscite). «Sono stato un rapinatore, un mafioso, ho trafficato droga, partecipato a sequestri. Poi ho scelto di collaborare: ho fatto seicento nomi, spiegato centocinquanta omicidi, raccontato i legami tra la mafia e la magistratura, la polizia, la politica. Oggi ho pagato il mio conto, fino in fondo».

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