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Riparte il dialogo

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dall'inviatoFabrizio dell'Orefice BERLINO Forse non è un caso. Non è un caso che i leader europei celebrino la riunificazione e poi si seggano a tavola a parlare di nomine europee. Anzi, delle due principali: il futuro presidente e il futuro ministro degli Esteri, quello che viene chiamato anche tecnicamente mister Pesc. E proprio questa seconda carica riguarda l'Italia più da vicino perché vede salire le quotazioni di Massimo D'Alema. Al momento, e stiamo entrando nel rush finale, lo schema prevede che il presidente sia espressione del Partito Popolare (il premier belga Herman Van Rompuy) mentre il ministro degli Esteri un socialista. In questo secondo caso, dopo due giorni di voci, il leader socialista Martin Schulz ha detto senza mezzi termini che esce di scena il favorito David Miliband, quindi D'Alema ha chances vere e solide. Lo dice chiaramente il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini che spiega come se Miliband «decisamente rinuncia» alla sua candidatura, che «francamente non c'è mai stata finora» si aprono «eccellenti prospettive» per D'Alema. Silvio Berlusconi, nella hall dell'hotel Intercontintal, che lo ospita a Berlino, risponde in modo più vago ai giornalisti che gli chiedono se davvero D'Alema ora ha più possibilità: «Spero di si, non so dire». Un modo per dire che se la candidatura del leader democratico diventerà ufficiale, il governo non si tirerà indietro, prevarrà la responsabilità e sosterrà Baffino. Poi il premier, sibillino, avverte: «Spero che si vada verso una scelta che non sia una scelta di persone non conosciute e senza esperienza», forse riferendosi soprattutto al premier belga. Comunque sia, Berlusconi si trova in una condizione davvero singolare. Arriva a Berlino per celebrare la caduta del Muro e la fine del comunismo e si trova a sostenere un ex comunista a una grande nomina Ue. Un ex comunista peraltro lanciato da quello stesso Schultz con il quale finì a insulti proprio nella sede del Parlamento europeo. Al di là delle coicidenze, quel riferimento a persone poco conosciute e senza esperienza non appare casuale. Dallo staff del Cavaliere fanno capire come c'è ancora da considerare Tony Blair che aspira a fare il presidente dell'Ue. «Una candidatura che sta tornando pesantemente», fanno notare fonti diplomatiche italiane (e apertamente gli inglesi hanno ribadito la loro richiesta). Con Blair il feeling è antico. È un laburista atipico che consentirebbe ai Popolari di avere il ministro degli Esteri e così l'Italia potrebbe ottenere ancora un portafoglio pesante come oggi è quello che ha Antonio Tajani con infrastrutture e trasporti. In questo quadro non è un caso che si sia alzata di nuovo forte la voce di un leghista, stavolta il viceministro ai Trasporti, Roberto Castelli, che ha detto di trovare «sconcertante» la candidatura e il sostegno a D'Alema. «Parlo a nome personale, avrò qualche rampogna dalla Lega, ma non potevo non dirlo», ha precisato Castelli. C'è poi un'altra variabile di non poco conto sulla strada di D'Alema verso la nomination. Ed è il fatto che il premier britannico Gordon Brown è giunto a Berlino, accompagnato da Miliband, con un'altra richiesta: un posto per la commissaria Ue al commercio estero Catherine Ashton, ex ministro della giustizia nel governo Brown, molto stimata a Bruxelles. La partita a scacchi è entrata nella fase decisiva.

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