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Omicidio volontario per Raniero Busco

Raniero Busco durante i funerali di Simonetta Cesaroni, uccisa a coltellate nel 1990 in un condominio di Via Poma a Roma

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Le tracce di saliva sul reggiseno di Simonetta Cesaroni e il morso sul seno della vittima. Ecco gli elementi che hanno convinto il giudice dell'udienza preliminare Maddalena Cipriani a mandare alla sbarra l'ex fidanzato di Simonetta, la ragazza trovata senza vita in via Poma, nell'ufficio in cui lavorava diciannove anni fa. Raniero Busco, che il 3 febbraio dovrà presentarsi davanti ai giudici della terza sezione della Corte d'assise di Roma per difendersi dall'accusa di omicidio volontario, è entrato ufficialmente nell'inchiesta due anni fa, quando nel 2007 fu iscritto sul registro degli indagati al termine di una serie di accertamenti scientifici. Proprio questi esami tecnologici hanno permesso alla magistratura romana di dare una spinta all'inchiesta che era rimasta bloccata, portando all'archiviazione delle posizioni di tutti i protagonisti delle indagini. Grazie invece ai progressi scientifici, la procura di Roma ha potuto effettuare esami che diciannove anni fa non sarebbe stato possibile neanche immaginare. «Non mi sono mai avvalso della facoltà di non rispondere, ho sempre dato la massima disponibilità perché non ho nulla da nascondere», ha detto ieri l'imputato a poche ore dalla notizia del suo rinvio a giudizio. Ci sono volute tre udienze preliminari prima di poter arrivare alla decisione del gup, che ieri, dopo un'ora di camera di consiglio, ha mandato a processo Raniero Busco. L'imputato fin dal primo giorno si è sempre dichiarato innocente, sostenendo che al momento dell'omicidio di Simonetta era in compagnia di un suo amico, circostanza, però, negata dallo stesso ragazzo. Dunque, dopo anni di perizie e consulenze, Busco, che si è costruito una famiglia e lavora presso la società Aeroporti di Roma, in dibattimento avrà la possibilità di dimostrare la sua innocenza, urlata dal giorno successivo al ritrovamento del cadavere della ragazza, uccisa con 30 coltellate il 7 agosto del '90. Nell'aula della Corte d'assise, l'imputato, attraverso il suo legale, cercherà di dimostrare che «è stato incastrato» e che si vuole trovare per forza un colpevole. «Il pm ha fornito solo mezze prove - ha dichiarato il difensore di Busco, l'avvocato Paolo Loria - in aula proveremo che esiste solo una traccia che potrebbe essere stata frutto di contaminazione tra reperti». Agli atti dell'inchiesta ci sono le conclusioni dei consulenti dell'accusa, secondo i quali l'arcata dentaria di Busco è compatibile con la traccia di morso lasciata sul seno sinistro di Simonetta. Dall'altra, invece, ci sono gli accertamenti del consulente della difesa, in base ai quali si tratta di risultati che non possono essere certi poiché effettuati, tra l'altro, soltanto sulla base di fotografie. «Non perdonerò gli inquirenti perché mi hanno fatto passare 19 anni di sofferenza in più. Potevano fare ciò che hanno fatto, soprattutto gli esami sul morso, già 19 anni fa», ha detto la mamma di Simonetta. All'epoca dell'omicidio, comunque, non sarebbe stato possibile esaminare sia il morso sul seno, sia le tracce sul reggiseno della vittima. Negli anni Novanta, infatti, per riuscire a estrarre il Dna era necessario esaminare una quantità di sostanza grande almeno come una moneta. Oggi, invece, bastano quantità non visibili a occhio nudo. Nel processo, infine, saranno ascoltati nuovamente tutti i protagonisti di questa vicenda giudiziaria. E non si escludono nuovi colpi di scena.

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