Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Dopo 19 anni un processo per l'omicidio di via Poma

Simonetta Cesaroni

  • a
  • a
  • a

La svolta. A diciannove anni di distanza l'inchiesta giudiziaria sull'omicidio di Simonetta Cesaroni scrive sul fascicolo di rinvio a giudizio il nome di un presunto assassino. Raniero Busco, 44 anni, una moglie e due figli, in quel 1990 era il fidanzato di Simonetta. A incastrare l'uomo le tracce di Dna trovate sul reggiseno della vittima. Una prova che i carabinieri e i magistrati ritengono inconfutabile ma un po' fragile nel contesto di quell'omicidio. Via Poma 2, 7 agosto 1990. In un ufficio al secondo piano un ragazza di 21 anni Simonetta Cesaroni viene trovata uccisa: sul corpo seminudo numerose tracce di ferite inferte con uno stiletto. Fu, in quell'estate di una Roma semideserta, un delitto subito sotto i riflettori. Indagini mediatiche di cronisti sulle tracce dell'omicida. «Giallo» e «mistero» erano i sostantivi più gettonati nelle cronache del tempo. Ma subito apparve chiaro che qualcosa in quella storia non quadrava. Troppe reticenze, da parte della famiglia della vittima e dal suo datore di lavoro. Da parte del portiere dello stabile di Via Poma: Pietrino Vanacore, con il suo viso enigmatico, i suoi precedenti oscuri. I condomini così sfuggenti: assillati da un'altra morte rimasta oscura, quella della pensionata Renata Moscatelli, avvenuta in quello stesso palazzo, alla scala «E» sei anni prima. Delitto insoluto e con qualche «analogia» con l'omicidio di Simonetta. La scena del crimine non fu «congelata» come si usa fare oggi che le regole investigative sono dettate dalla scienza. Troppa gente passeggiò in quell'ufficio distaccato dell'Associazione degli alberghi della gioventù. E qualche dato importante probabilmente fu «inquinato». Quel corpo senza vita di Simonetta così innaturalmente disteso a gambe e braccia divaricate destò subito non pochi dubbi negli investigatori: tutto troppo studiato. E ancora. Il pantacollant sparito. Gli slip scomparsi. Solo un top e il reggiseno che oggi «inchioda» Busco. Ma il ragazzo rintracciato quella notte dalla squadra mobile ammise subito un rapporto intimo la sera prima, il 6 agosto, che giustificherebbe quelle tracce sul reggiseno, e anche i litigi degli ultimi tempi tra lui e Simonetta. Brusco fu subito messo nella lista nera e scandagliata la sua vita nelle ultime ventiquattr'ore. Non fu trovato nulla che lo collocasse sul luogo del delitto. Simonetta morì per un colpo alla nuca: l'assassino le ha sbattuto la testa sul pavimento e più volte colpita con schiaffi e pugni. Non subì violenza carnale. L'assassino ha infierito con 29 stilettate in parte inferte al pube e sui seni quando la giovane era già morta. Se fossero state inferte quando era ancora viva gli schizzi avrebbero inondato la stanza. Quella stanza così linda. Le tracce di sangue sparite anche sotto il corpo di Simonetta. Lavate con cura e gli stracci anch'essi detersi e immacolati nel bagno dell'ufficio. Un lavoro accurato come solo una persona che lo fa d'abitudine sa fare. Tutto lindo, tranne qualche piccolissima traccia che però non svelerà elementi utili a individuare l'assassino. Il sangue era quello della vittima. La puliza della stanza, le reticenze, il fatto che avesse la chiave dell'ufficio, mise nel mirino degli investigatori il portiere dello stabile, Pietrino Vanacore. Ma il suo alibi, quello scontrino del ferramenta, potrebbe dare una chiave di lettura diversa. Vanacore infatti quel pomeriggio, quando al secondo piano nell'ufficio dell'Aig, viene uccisa Simonetta, compra un seghetto circolare. È il suo alibi quello che lo farà uscire prima di prigione, poi dall'inchiesta. Un seghetto circolare come quello usato dagli anatomopatologi. Gli strani intrecci con i servizi segreti che tirano dentro l'inchiesta Federico Valle, nipote dell'architetto Cesare Valle che in quel palazzo abitava. Ma anche lui verrà prosciolto nel corso delle indagini. Poi spariscono le prove. Ma è solo il disordine che regna nel Palazzo di Giustizia e gli indumenti di Simonetta Cesaroni vengono recuperati all'istituto di Medicina legale di Roma in tempo perchè consentano di repertare una traccia di Dna. Nel frattempo, siamo nel 2004, Salvatore Volponi, il datore di lavoro di Simonetta, che però ignorava in quale ufficio lavorasse la ragazza, affida a un libro la sua verità e rivela che Simonetta aveva confidato a una sua nipote che «aveva conosciuto un nuovo ragazzo». Un dettaglio non da poco ma rivelato dopo 14 anni. Tanto per aggiungere mistero a mistero.

Dai blog