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Ossessionati da Berlusconi

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Silvio Berlusconi

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I carabinieri che lo hanno girato tentano di piazzarlo a giornali e riviste. Tutti lo rifiutano. Fino a quando, il 5 ottobre, entra in scena il direttore di Chi Alfonso Signorini. Ed ecco che Repubblica può titolare: «Quel video di Marrazzo custodito per troppo tempo nella stanze di Berlusconi». La ricostruzione della vicenda è, manco a dirlo, di Giuseppe D'Avanzo che, tra un colloquio con una «fonte vicina all'inchiesta» e un dettagliato elenco di luoghi e date, ci spiega: che i carabinieri erano «comandati» o «eterodiretti» (ma non ci dice da chi), ma soprattutto che quel video è rimasto nella mani di persone vicine a Berlusconi, o forse dello stesso Cavaliere, dal 5 al 19 ottobre giorno in cui il premier telefonò a Marrazzo per avvisarlo. A questo punto vale la pena citare testualmente: «Ora è decisivo sapere cosa accade tra Mondadori, Palazzo Grazioli, Villa San Martino, tra il 5 e il 19 ottobre . I tempi diventano determinanti. Quando il direttore di Chi consegna le immagini a Marina? Quando Marina le mostra al padre? Quanto tempo Silvio Berlusconi si rigira tra le mani il dischetto prima di telefonare a Marrazzo?». Il punto è che D'Avanzo non risponde a nessuna di queste domande. Si limita ad immaginare un Berlusconi indeciso, roso dai dubbi, che alla fine cede e telefona al governatore del Lazio. Ed è qui che il capolavoro si compie. «Quel che è accaduto - scrive Repubblica - è chiaro alla luce del codice penale. Articolo 640, ricettazione». Insomma, per la buoncostume di Largo Fochetti il Cavaliere sarebbe colpevole di ricettazione per essersi «intromesso per far acquistare, prima, e occultare, poi, quella "cosa proveniente da un delitto" (il video di Marrazzo ndr)». La conclusione è quasi ovvia: «Se la legge è uguale per tutti, è ragionevole pensare che la procura di Roma cercherà di capire chi ha "pilotato" i falsi ricattatori mentre invierà a Milano, per competenza, le carte di una ipotetica ricettazione». Il copione è su per giù lo stesso che Michele Santoro aveva usato nella puntata di giovedì sera, ma qui c'è il colpo del campione, la giocata che riesce solo al fuoriclasse. Dopo aver dettato la linea all'opposizione adesso Repubblica detta la linea alle procure indicando minuziosamente anche il reato commesso da Berlusconi. E se non dovesse bastare ecco che, quattro pagine dopo, un altro titolo getta nuove ombre sul Cavaliere: «Ciancimino dà ai pm il papello originale. "Negli appunti c'è il nome di Berlusconi"». Verrebbe quasi da pensare che al quotidiano abbiamo una forma di ossessione nei confronti del presidente del Consiglio. Anzi, sarebbe meglio dire al gruppo editoriale, visto che anche il settimanale Espresso svolge il suo compitino restando perfettamente in tema. Qui, però, l'operazione è a più ampio raggio. In copertina, infatti, non c'è l'odiato Silvio ma il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Titolo: «Angelino custode». Sottotitolo: «Rapida carriera, amicizie pericolose. Storia di Alfano. Il ministro pronto a cambiare le leggi per assecondare Berlusconi. Ma nei tribunali è il caos: dalla Cassazione al Tar ecco come si possono sottrarre i fascicoli dei processi». L'inchiesta si muove tra racconti di pentiti e atti di inchieste. Anche se su alcuni dettagli il giornalista Lirio Abbate (penna storica del giornalismo antimafia con alle spalle intimidazioni e minacce) ammette che «Alfano potrebbe non essere stato a conoscenza». Si dice anche che il ministro, laureato in Giurisprudenza, non abbia mai preso l'abilitazione per fare l'avvocato. La risposta del diretto interessato non si lascia attendere. «Editore, direttore e giornalista - annuncia - risponderanno in giudizio del cumulo di volgari menzogne contenute nel numero de L'Espresso». «Una fra tutte: il mio non essere avvocato - sottolinea -. So bene che l'obiettivo è quello di intimidirmi per bloccare la riforma della giustizia. Sappiano costoro e le loro fonti avvelenate che hanno fallito e che andremo avanti per riformare la giustizia e battere la mafia con le parole, con i fatti e con le leggi: proprio come fatto finora. Il mio rapporto con la mafia è quello segnato dagli straordinari provvedimenti legislativi di cui mi sono assunto la responsabilità e dei quali sono noti a tutti i rilevanti risultati conseguiti. Il contrasto alle organizzazioni mafiose, come ben sanno gli inquirenti, ha avuto pensanti ricadute nella mia sfera privata e personale. Ma questo, mi rendo conto, ben poco importa a chi intende comunque calunniare». Con il ministro insorge, compatto, tutto il centrodestra. Ma l'impressione è che si tratti di fiato sprecato. Un'ossessione è pur sempre un'ossessione.

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