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Tessere e camorra: "Morando sapeva"

Bandiere del Pd

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NAPOLI - Il Pd ha sicuramente un problema al Mezzogiorno, il rischio di infiltrazioni della malavita esiste, ma bisogna anche evitare di bollare come «robaccia» tutto ciò che viene dal Sud. È sul filo del distinguo il commento di Pier Luigi Bersani allo scandalo dei camorristi tesserati in Campania. «Sì, esiste un problema certamente. Non tanto per il numero dei tesserati, che al Sud è sempre stato maggiore. Abbiamo il problema, come avrebbe qualsiasi forza organizzata, di stare attenti a infiltrazioni. Ha fatto benissimo Morando». Il senatore Enrico Morando, commissario provinciale a Napoli, ha a sua volta commissariato il partito a Castellammare di Stabia, e poi ha portato l'elenco degli iscritti in Questura chiedendo un controllo su tutti i nomi, dopo aver scoperto dalla stampa che avrebbero votato per le primarie a Castellammare anche la nuora del capoclan della zona ed il killer che ha confessato di aver ucciso il consigliere comunale del Partito democratico stabiese Luigi Tommasino. Ha fatto bene Morando, dice ora Bersani. Ma nel partito c'è chi inarca un sopracciglio e precisa: «Morando sapeva tutto già da febbraio, gli scrissi due email segnalando le iscrizioni anomale, ma non ha fatto niente», ha rivelato a Repubblica l'ex assessore stabiese Annapaola Mormone. Scettico sull'azione anticlan svolta da Morando è anche Michele Caiazzo, combattivo consigliere regionale, autore di uno studio analitico sulle tessere gonfiate nel partito a Napoli e Provincia. «Le mie statistiche furono elaborate all'indomani delle elezioni europee e provinciali di giugno. Da allora il quadro non è mutato sostanzialmente. Ho lanciato un allarme basato su dati preoccupanti. Dal partito non mi è arrivata nessuna risposta. Il commissario Morando? Diciamo che sul rischio infiltrazioni non ha avuto una funzione incisiva, ad essere buoni». Lo studio di Caiazzo segnalava evidenti discrepanze tra numero di tessere e numero di voti. In un partito sano ad ogni tesserato/attivista corrispondono almeno dieci voti.   In molti Comuni e quartieri napoletani, invece, vi sono addirittura realtà in cui il numero di voti è pari al numero degli iscritti al partito, o superiore di appena due o tre volte. Un evidente segnale che le tessere non sono reali. Se questo capita in zone ad alta intensità criminale, il sospetto che tra gli iscritti fasulli vi siano uomini dei clan si fa concreto. Qualche esempio. Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio: quartieri orientali regno dei clan Aprea-Cuccaro e Sarno. Qui il Pd può contare su quasi 5mila iscritti. Ma i voti ottenuti dal partito alle ultime provinciali sono stati «solo» 13.696. Non va meglio nella periferia Nord, Scampia, Miano, Secondigliano, teatro della faida interna al clan Di Lauro: qui il Pd sfiora i 2mila iscritti, ma ha ottenuto poco più di 6mila voti. Qualcosa non torna. Non va meglio in provincia dove vi sono addirittura Comuni in cui, caso unico in Italia, il Pd ha più tesserati che voti. Accade a Casola, Casamarciano e Visciano, tre paesoni del Nolano sotto stretto controllo del clan Russo, eredi del boss Carmine Alfieri. Accade lo stesso a San Giuseppe Vesuviano, zona del clan Fabbrocino. Stessa storia a Pimonte, Comune alle porte di Castellammare di Stabia. E qui il cerchio si chiude. Sembrerebbe dunque che il lavoro di pulizia avviato da Morando sia ancora lungo e difficile. «Ma non possiamo cavarcela semplicemente con l'espulsione dei camorristi», ammonisce Caiazzo. «I malviventi probabilmente nemmeno sanno di essere stati iscritti al partito. Il vero problema è individuare ed espellere quelli che dall'interno del partito hanno fatto le tessere a queste persone, chi li ha iscritti o li ha fatti iscrivere». Una sfida alla quale il Pd in Campania, fin ora, non ha nemmeno messo mano.

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