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Più dell'Islam a scuola, temo i finti cristiani

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Sarebbe bello e opportuno poter pacatamente ragionare a proposito dell'idea circolata in seguito al faccia-a-faccia di sabato 17 scorso tra Massimo D'Alema e Gianfranco Fini: introduciamo l'insegnamento della religione musulmana nelle scuole. Al riguardo va premesso un semplice, limpido, ragionamento. Nelle scuole italiane s'insegna, ai sensi del concordato con la Chiesa, la religione cattolica, con docenti scelti d'accordo con le autorità ecclesiali. Esistono altresì scuole private gestite da gruppi cristiani riformati o da comunità ebraiche, nelle quali s'impartisce un'istruzione religiosa ispirata al rispettivo credo: tutto secondo i principii costituzionali di libertà religiosa. Ma ormai, da noi, i musulmani superano il milione e sono in effetti la seconda fede praticata nel paese; in particolare, sono oltre diecimila gli italiani convertiti più o meno di recente all'Islam, e sono in costante aumento i musulmani d'origine straniera che accedono alla cittadinanza italiana e quindi ai diritti che ciò comporta. Il diritto all'istruzione e la pratica religiosa scelta ne fanno parte irrinunciabile. Ma restano da chiarire i problemi tecnici e pratici inerenti l'esercizio di tali diritti. È in linea di massima possibile applicare il principio dell'esenzione dalle ore d'insegnamento della religione cristiano-cattolica e affiancargli la sostituzione con un equipollente insegnamento di quella musulmana (ma secondo quale confessione e/o scuola di pensiero), negli istituti in cui ciò sembri opportuno e venga richiesto.   Ma chi provvederà alla preparazione e al reclutamento degli insegnanti, secondo quali principii, alla luce di quali controlli e di quali garanzie? Nei casi delle comunità ebraiche e protestanti, si è potuto procedere a un'intesa ufficiale con esse: ciò appare problematico nei confronti di quelle musulmane, che appaiono numerose e divise se non discordi tra loro. Appare ad esempio problematico mediare tra Coreis e Ucoii, che sono le principali e non si trovano reciprocamente simpatiche. Sono problemi per risolvere i quali è necessaria molta buona volontà. E più difficile ancora appare il vincere le varie forme di sospetto, di diffidenza o addirittura dell'ostilità nei confronti dell'Islam presenti in settori non troppo ristretti dell'opinione pubblica e in alcune forze politiche. Il pregiudizio è ancora più grave e duro da contrastare quando si arrocca dietro il pretesto della difesa dell'identità cristiana e della tradizione cattolica. A tale riguardo, è necessario essere espliciti. Io lo sarò dal mio punto di vista, che è quello del cattolico osservante. Come sapete, cari fratelli nel Cristo e nella Chiesa di Roma, nell'Italia contemporanea il cattolicesimo non è più maggioritario. Papa Giovani Paolo II lo ha detto con molta chiarezza: ormai i cristiani debbono sapere che l'Occidente è tornato a essere terra di missione e che essi sono chiamati a essere di nuovo "il sale della terra". Il tempo della comoda egemonia è finito. La maggioranza dei cattolici è tale solo dal punto di vista sociologico; non sono frequenti le abiure formali, ma si vive secondo quello che Pietro Prini ha definito "lo scisma sommerso". La Scrittura e la liturgia sono poco conosciute, la frequenza ai sacramenti è in calo, si disertano perfino i battesimi e le prime comunioni, il matrimonio religioso è in crisi, il magistero ecclesiale disatteso o contestato. Il punto è, cari fratelli nel Cristo, che siamo spiritualmente in guerra: e non contro l'Islam, bensì contro nemici quali l'indifferenza, l'agnosticismo e il materialismo ateo. Difendere quindi la nostra identità e la nostra tradizione? Certo, e con rigore: anzi, recuperarle. Ma esse sono state quasi cancellate, e quel che ne rimane è minacciato, da più di tre secoli di "processo di secolarizzazione", fenomeno tipicamente occidentale, e dall'individualismo che ne è il brodo di coltura. Sono questi disvalori che i cattolici debbono quotidianamente combattere: addirittura all'interno delle loro famiglie e di se stesse. E qui i sinceri credenti nel monoteismo abramitico, anzi tutti coloro che conoscono una dimensione metafisica della vita, diventano obiettivamente alleati. Far sì che dei credenti ebrei o musulmani restino sul serio tali nella nostra civiltà non può costituire un attentato alla nostra identità e alla nostra tradizione, nella misura in cui entrambe esistono e sono salde. Impedirlo è un servizio reso non alla Chiesa, bensì al laicismo (che non è laicità). I credenti, a qualunque fede appartengano, sono comunque un modello, uno stimolo e una sfida. I veri nemici sono altri. Essi si chiamano individualismo, edonismo, sete indiscriminata di profitto, schiavitù nei confronti del consumismo, carenza di carità, mancanza di solidarietà. La vita "secolarizzata" dei nostri tempi rafforza e moltiplica l'energia di questi controvalori, che dilagano proprio fra i giovani. È qui che si annida il Nemico: non nelle sinagoghe, non nelle moschee.

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