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(...)dei magistrati, pronta anche allo sciopero, viene innanzitutto da chiedersi in che cosa consista la novità.

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Costoro,poverini, non si sarebbero accorti, da sprovveduti come sarebbero per avergli fatto vincere l'anno scorso le elezioni, dello stato di «emergenza democratica» provocato dal presidente del Consiglio annunciando il proposito di riformare la giustizia con una legge costituzionale, e non ordinaria. Questo secondo tipo di riforma, dovendo contemplare anche la separazione delle carriere, tanto temuta dall'associazione dei magistrati, ma anche dal vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Nicola Mancino, correrebbe il rischio di essere bocciato dalla Corte Costituzionale. I cui umori sono chiari dopo il no gridato a sorpresa contro la legge, appunto ordinaria, pur promulgata con esplicita e motivata convinzione dal presidente della Repubblica, sulla sospensione dei processi penali a carico delle quattro maggiori cariche dello Stato durante l'esercizio dei loro mandati. In che cosa consista il carattere eversivo del proposito di Berlusconi, tanto eversivo da mettere la democrazia nell'angolo dell'emergenza, non si riesce francamente a capire. Modifiche alla Costituzione sono previste e disciplinate dalla stessa Costituzione con l'ormai famoso articolo 138 evocato dalla Corte, che impone una doppia procedura d'esame e maggioranze qualificate. Tali sono, in particolare, la maggioranza assoluta, composta dalla metà più uno dei componenti l'assemblea, e la maggioranza dei due terzi. Ma con quest'ultima, raggiungibile solo con il concorso anche di una parte almeno dell'opposizione, la legge di modifica costituzionale verrebbe blindata. Non potrebbe essere sottoposta al cosiddetto referendum confermativo su richiesta di un quinto della Camera o del Senato, o di cinquecentomila elettori o di cinque Consigli regionali. Berlusconi ha realisticamente messo nel conto il rischio del referendum, sapendo quanto le opposizioni siano influenzate dal sindacato delle toghe e perciò indisponibili a concorrere alla riforma. Egli si è detto fiducioso di ottenere il consenso degli elettori in una verifica referendaria, per quanto questo tipo di referendum non abbia l'ombrello protettivo della necessaria partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto. Per la bocciatura, ma anche per la ratifica, delle modifiche alla Costituzione basta la maggioranza dei soli partecipanti alla votazione. L'approccio del presidente del Consiglio alla riforma della giustizia è quindi improntato al più cristallino rispetto delle regole costituzionali. Proclamare contro di lui lo stato di agitazione, e insieme di emergenza democratica, è solo effetto di un delirio: quello nel quale vivono da tempo il sindacato dei magistrati e i partiti che se ne lasciano influenzare anche per debito di riconoscenza, avendo sempre trovato sponde giudiziarie nelle loro offensive politiche contro gli avversari di turno. E' un delirio per certi versi paragonabile a quello delle «Brigate rivoluzionarie per il comunismo combattente», pur deplorato anche dal sindacato delle toghe. I terroristi hanno appena reclamato minacciosamente le dimissioni di Berlusconi, di Gianfranco Fini e di Umberto Bossi. Francesco Damato

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