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Par condicio, la ragionevolezza impone di cambiarla

Politica in televisione

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È di questi giorni la notizia che il Governo ha infine approntato un disegno di legge di revisione della par condicio. Era ora che ciò avvenisse, visto che quando, nel 2000, sotto il Governo D'Alema, fu approvata la Legge che la introduceva con il dichiarato fine di garantire la parità di trattamento di tutti i soggetti politici per l'accesso ai mezzi di informazione, vi fu nel centrodestra una giusta reazione negativa. La contestazione era rivolta in particolare modo contro le disposizioni che disciplinavano in maniera estremamente rigida l'accesso ai mezzi d'informazione durante le campagne elettorali e le campagne referendarie. E obiettivamente essa era del tutto giustificata. Il fatto è che, anche se si poteva condividere l'intento del legislatore di regolamentare un campo che era divenuto, col passare degli anni, una vera e propria giungla, restava il fatto che il modo in cui il centro-sinistra aveva scritto la legge era assolutamente inaccettabile. L'allora maggioranza guidata da D'Alema aveva aggiunto alla rigidità delle limitazioni all'autonomia di ciascuno, un insensato egualitarismo. In effetti secondo la legge, tutte le forze politiche che si fossero candidate alle elezioni o si fossero affacciate sulla scena politica risultavano collocate su di piano di assoluta parità. Era altrettanto evidente che il vero intendimento che sottostava a questa scelta non era la nobile esigenza di tutelare i più piccoli nei confronti dei più consolidati partiti storici ma era la precisa volontà di penalizzare il centrodestra. In effetti, l'egualitarismo assoluto contenuto nella Legge del 2000, favoriva in primo luogo quella delle due coalizioni che contava al suo interno il maggior numero di forze politiche; ossia quella più frantumata, in contrasto con le basi stesse del bipolarismo. Inoltre, sarebbero stati maggiormente penalizzati i partiti con il più vasto seguito elettorale e in speciale modo il più forte partito. E, putacaso (si fa per dire), il centrodestra era formato da quattro partiti di medie dimensioni, Forza Italia, An, Lega e Udc e vantava il partito più votato, ossia Forza Italia. Ciò mentre nel centro sinistra vi era una pletora di più o meno piccole compagini della sinistra e anche le dimensioni del partito dei Ds erano inferiori a quelle del partito di Berlusconi. Che la legge così formulata non dovesse sopravvivere era ovvio: la rottura delle proporzioni dettate dalle effettive dimensioni elettorali degli attori della politica coinvolti non poteva essere così grave ed assoluta. E ciò solo per un malinteso senso di appiattimento egualitaristico. Il dibattito politico ne è infatti uscito del tutto falsato e incomprensibile. Ma è bastato poco per procedere alle rettifiche necessarie: l'attuale progetto di riforma del Governo fa un mix tra le due esigenze, riservando una quota minimale alla paritaria distribuzione dei tempi e degli interventi e una quota più ampia per la distribuzione in proporzione al peso politico di ciascun partito. Finalmente si introduce una parvenza di ragionevolezza in una legge illiberale che ha falsato - con pessimi esiti per chi l'aveva imposta - tutte le ultime tornate elettorali.

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