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Leggina della Consulta per fare pace

La sala gialla di palazzo della Consulta

Napolitano: non sono di parte da anni

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Gira e rigira alla fine la bocciatura del Lodo Alfano continua a far notizia. Da una parte ci sono i giudici della Corte costituzionale, dall'altra Silvio Berlusconi. Questa volta però lo scontro tra le due parti a cui eravamo abituati ad assistere sembra aver preso un'altra piega. La Consulta tende la mano al premier e gli suggerisce una via d'uscita per evitare l'assalto giudiziario di alcune Procure. Una sorta di armistizio contenuto in un'anticipazione delle motivazioni adottate per giustificare l'illegittimità costituzionale del provvedimento. Salvo quindi il principio di uguaglianza sancito dagli articoli 3 e 138 della Costituzione, la Consulta è andata oltre rievocando non solo la sentenza del 2004 sul lodo Schifani, ma, ancor più, quella dell'anno successivo sul cosiddetto «caso Previti». Era la sentenza n.451 del 2005 della Corte costituzionale, che risolse in favore della Camera dei Deputati un conflitto di attribuzione con l'autorità giudiziaria di Milano che giudicava l'ex ministro e parlamentare Cesare Previti. Questi più volte aveva fatto sapere di essere impedito ad intervenire alle udienze, chiedendone il differimento, dovendo esercitare il suo diritto-dovere di partecipare ai lavori parlamentari. I giudici di Milano ritennero in alcuni casi che l'impedimento non fosse «assoluto» e svolsero ugualmente l'udienza. Le loro decisioni furono però bocciate dalla Corte, con motivazioni che - secondo indiscrezioni - la stessa Consulta avrebbe ritenuto in camera di consiglio efficaci anche per dare soluzione nel caso di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato. In quella sentenza relativa al «caso Previti» - che aveva un precedente in un'altra sentenza del 2001 sempre legata a Previti - la Corte stabilì che il giudice «ha l'onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari». Muovendo da questa sentenza, potrebbe così risolversi - secondo quanto trapelato da ambienti vicini alla Corte - il conflitto tra esigenze processuali ed extraprocessuali nel caso di alte cariche dello Stato sottoposte a processo penale, senza violare il principio di uguaglianza: i processi a Berlusconi, ad esempio, andrebbero avanti, ma i giudici dovrebbero fissare, d'intesa con il premier, un calendario delle udienze che tenga conto dei sui impegni istituzionali. E per realizzare questa situazione, emerge dagli stessi ambienti, potrebbe essere auspicabile una legge e ne basterebbe una ordinaria, non costituzionale. A difendere infine la sentenza dagli attacchi della politica, ci pensa il presidente emerito della Corte Costituzionale Piero Alberto Capotosti, intervistato da Terza Repubblica, che commenta: «Questa decisione ha un valore politico, ma tutte le sentenze della Corte hanno rilievi di questo tipo, poiché riguardano leggi, che sono atti politici per eccellenza». E in generale in materia di Giustizia, Capotosti rimarca che «in realtà questo Governo, ma anche i precedenti, hanno lasciato lentamente erodere, giorno per giorno, la credibilità del sistema giudiziario da parte dei cittadini. Questa è una colpa grave della politica, che si è impegnata molto in profili particolari, come il Lodo Alfano, o le leggi ad personam, trascurando invece problemi di grande importanza che riguardano l'intera collettività». Cresce intanto il malessere alla base dei magistrati, soprattutto dopo l'annuncio di riforme, a cominciare dalla separazione delle carriere in magistratura. Proprio quest'ultimo è uno dei temi più caldi tanto che Rita Sanlorenzo, segretaria di Magistratura democratica, annuncia: «Di fronte a interventi di stravolgimento dell'assetto costituzionale lo sciopero sarà inevitabile in difesa della Costituzione, non di privilegi». Ale. Ber.

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