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Napolitano aspetta le motivazioni

Napolitano

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C'è un piccolo episodio in tutti questi convulsi giorni della politica che forse è passato inosservato, ma che in realtà ha avuto un peso non secondario. È un piccolo episodio accaduto a Rionero in Vulture, giusto una settimana fa, quando il presidente della Repubblica, in visita in Basilicata, stava passeggiando nella piazza. Un cittadino lo ha fermato e gli ha chiesto di non firmare la legge sullo scudo fiscale. Napolitano s'è bloccato, tutto il corteo presidenziale s'è paralizzato e, fatto inconsueto, il Capo dello Stato ha cominciato a rispondere su una materia tanto sensibile in mezzo alla strada. E s'è subito inalberato: «Non firmare non significa niente», ha risposto. Ma quel signore ha insistito: «Presidente, non firmi, lo faccia per le persone oneste». E Napolitano s'è messo a replicare: «Nella Costituzione c'è scritto che il presidente promulga le leggi. Se non firmo oggi il Parlamento rivota un'altra volta la stessa legge ed è scritto (nella Costituzione ndr) che a quel punto io sono obbligato a firmare. Questo voi non lo sapete? Se mi dite non firmare, non significa niente». Poi è andato via stizzito, facendo un gesto eloquente con il braccio. Il caso è finito lì. Chi invece conosce bene Giorgio, il leader della componente migliorista, ha capito che non era un fatto da sottovalutare. Napolitano era davvero provato, sconfortato per una politica fatta di attacchi personali. Aveva capito che non era più padrone della situazione. O almeno non lo era come a luglio, quando in virtù del G8 era riuscito a imporre al Paese una sorta di tregua nazionale. La situazione era sfuggita di mano e tutto rapidamente scivolava nella direzione esattamente opposta a quella auspicata dal Colle. Lo hanno capito gli amici di sempre di Napolitano che infatti hanno firmato un appello a suo sostegno proprio sullo scudo. C'erano le firme dell'editore Colonnese, i costituzionalisti Villone e Scudiero, il presidente della Fondazione MezzogiornoEuropa Geremicca, il giornalista Ghirelli, il filosofo Biagio De Giovanni. Quello che è accaduto dopo è chiaro a tutti. Quello che accadrà ora lo è meno. Di sicuro al Quirinale hanno accolto con animo diverso le nuove dichiarazioni di Berlusconi pronunciate in conferenza stampa. Intanto perché non erano offensive, non erano violente sul piano personale e ammettevano una coabitazione alla francese. E allo stesso modo sul Colle hanno letto e riletto quelle parole del premier che confermavano il fatto di considerare il presidente della Repubblica non più super partes. Una riserva velenosa, pensano sul Colle. Ma pensare che al Quirinale abbiano accettato di buon grado la decisione della Corte Costituzionale che ha bocciato il lodo Alfano è altrettanto sbagliato. Anzi, il presidente della Repubblica attende con una certa ansia di leggere le motivazioni che la Consulta depositerà visto che in esse dovrà spiegare come ha potuto di fatto andare totalmente contro a una propria analoga decisione, quella sul lodo Schifani, varato nel 2004, appena cinque anni prima. Insomma, vogliono proprio vedere come la Corte farà i conti con se stessa. Insomma, dalle parti di Berlusconi nessuno crede che Napolitano sia avulso dalla decisione della Consulta. Sono troppi i giudici della Corte che hanno un rapporto di cinquantennale amicizia o di assidua frequentazione con il presidente. Due su tutti: Francesco Amirante e Giuseppe Tesauro. Oppure Paolo Grossi, nominato appena a febbraio. Se è proibito immaginare, come amano ripetere fonti vicine al Quirinale, che Napolitano potesse fare qualunque tipo di pressione, è altrettanto proibito immaginare che non ci sia stata un qualche tipo di consultazione, anche a livello di semplice scambio di opinione. Se non si esce da questo limbo, sarà difficile che Berlusconi e Napolitano possano ritrovare una sorta di dialogo istituzionale.

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