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Morto il padre dello Statuto dei lavoratori

Gino Giugni

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Era un socialista. Ma non un socialista come tutti gli altri. Gino Giugni, spentosi nella notte di domenica all'età di 82 anni dopo un lungo periodo di malattia, amava definirsi un «turatiano». Proprio perché, come Filippo Turati, uno dei più grandi leader del Socialismo italiano, riteneva di essere un «riformista». Un uomo attento al mondo del lavoro, ai diritti sindacali in fabbrica e, a partire dagli anni '60 fino a quelli della programmazione economica e dell'avvio del primo centrosinistra, alle ricette economiche in grado di favorirne l'emancipazione e il benessere. Mai al di sopra delle righe tanto che, quando venne nominato ministro nell'aprile del 1993 dall'allora presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi, riuscì a conquistarsi l'appellativo di «socialista ministro» e non di «ministro socialista» proprio perché l'incarico assegnatogli non lo portò mai a cambiare il suo modo d'essere. Ma quello che renderà immortale il nome di Giugni sarà proprio il fatto di essere stato l'estensore della legge 300 del 1970, quella che ha preso il nome di Statuto dei Diritti dei Lavoratori, che sancì, con l'articolo 18, il licenziamento per giusta causa. Una legge alla quale poi si aggiunse negli anni '80 la legge sull'autoregolamentazione del diritto di sciopero. Ma era proprio la legge del '70 motivo d'orgoglio per Giugni, il quale, molti anni dopo, commentandola, disse: «Quella legge non è uno strumento invecchiato, né superato. Semmai va aggiornato in alcune parti, senza per questo essere radicalmente cambiato». E per questo proponeva anche quattro direzioni per rivisitare il documento: «La non adattabilità nelle imprese minori, rispetto alla struttura normativa concepita per la grande impresa: mutabilità delle mansioni e l'esigenza di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, in mancanza della sulle apportare delle varianti Nel 1983 (nello stesso anno venne eletto Senatore nelle liste del Partito Socialista diventando presidente della commissione per il lavoro e membro della commissione parlamentare inquirente sulla Loggia Massonica P2), mentre stava camminando a Roma, venne gambizzato da una donna. L'attentato fu rivendicato dalle Brigate Rosse e fu anche il primo di un cambio di strategia dei terroristi. L'idea delle Br era infatti quella di non colpire più il «cuore» dello Stato attraverso i poliziotti, i magistrati o alti dirigenti politici, ma di prendere di mira i cosiddetti cervelli dello Stato (Giugni prima e poi Massimo D'Antona e Marco Biagi), ossia l'anello di congiunzione tra le istituzioni e il mondo economico. Negli ultimi anni era diventato professore ordinario della facoltà di economia della «Sapienza» a Roma e aveva preso la tessera del Pd.

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