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Casini, Fini, Rutelli e Montezemolo Quattro leader dimezzati

Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini

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Sono gli incompiuti. Gli eterni incompiuti della politica italiana. Quelli che ora arriva il loro turno e il loro turno non arriva mai. Quelli sempre candidati a, aspiranti a, pronti a. Di loro si raccontano sempre gesta che stanno per compiersi. Mosse sotterranee, preparazione di fantasmagoriche truppe, disegni strategici in cui si incrociano tutti e il loro contrario. Immancabilmente il Vaticano. No, la massoneria. Gli americani. Gli israeliani. E le banche, potevano mancare le banche. Mediobanca, anzitutto. E Generali, la cassaforte della finanza italiana, snodo di incredibili e nascoste intese che non si possono rivelare ai comuni mortali. Insomma, sono gli incompiuti che gli amanti della fantapolitica raccontano sempre sul piede di compiersi. Sono le eterne larve che non diventano mai farfalle.   Sono Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Francesco Rutelli e Luca Cordero di Montezemolo. Sia chiaro, non sono mica dei falliti. Anzi, hanno tutti ricoperto o ricoprono incarichi rilevanti. Da numeri uno. Ma non sono mai diventati il numero uno, l'unico numero uno. Eppure vengono sempre raccontati come coloro che potrebbe salvare la patria. Coloro che possono prendere le redini della situazione. Sono sempre candidati per la guida di un governo di salute pubblica, di un governissimo, di larghe intese, di un esecutivo bipartisan che in Italia, a leggere certi giornali di fantapolitica, è sempre dietro l'angolo. Diciamola tutta.   Sono quelli che resteranno sempre dove stanno fino a quando Silvio Berlusconi non deciderà di mollare, di uscire dalla scena politica. Perché inevitabilmente il Cavaliere occupa lo spazio che loro vorrebbero occupare. È un muro invalicabile. Tutti e quattro lo hanno sfidato, a modo loro, da pulpiti diversi. Dall'interno, dall'esterno, da fuori dalla politica. E tutti e quattro ne sono usciti con le ossa rotte. Hanno capito che il toro non può essere preso per le corna perché è troppo forte. Meglio pensare di agire da fuori. Provare a logorarlo. Punzecchiarlo. Ogni tanto qualche pestatina di piedi. Non troppo forte però. Solo un po' in modo che se ne accorga. E basta, senza esagerare, sennò s'incazza. Come è successo quando Pier Ferdinando Casini ha scelto la strada del «grillo parlante» durante il governo Berlusconi dal 2001 al 2006. Prima d'accordo su tutto, poi piano piano ha iniziato a «marcare» il territorio, a fissare paletti, a cercare «distinguo» su ogni tema. E il Cavaliere la volta successiva l'ha scaricato. L'ha tenuto un po' sulla corda, poi ha fatto di tutto perché il bel Pier — Pierfurby, come piace chiamarlo a qualcuno — decidesse di andarsene per conto proprio. Ora si riparla di loro. I quattro dell'Ave Maria. Perché si parla di loro? Perché oggi ci sarà il clou di Chianciano, dove si stanno tenendo gli stati generali del centro. A sorpresa, ma lo sanno tutti (e il Tempo lo ha anticipato ieri) arriverà Fini all'ora di pranzo. Ci sarà anche Rutelli. Per la gioia di giornalisti e fotografi che così potranno raccontare di questo inedito asse. Possono concludere qualcosa assieme? A rigor di logica no. Anzitutto perché tutti e tre non tollerano co-leader. Hanno gestito i loro partiti soffocando le opposizioni interne, sventrando le minoranze e, fingendo di tollerarle, le hanno dolcemente accompagnate alla porta. In secundis, sono d'accordo su quasi nulla. In questo momento li accumuna una sorta di anti-berlusconismo più docile, più mellifluo. Un anti-berlusconismo che non pretende di affrontare Berlusconi, si limita a sperare nella sua fine. Anche meno, basterebbe un suo affievolimento. In realtà i tre moschettieri hanno in comune un dato certo: non hanno un ruolo. Rutelli era leader della Margherita. Fatto il Pd non ha più truppe, non ha più un partito, non ha più un pennacchio e quando viene intervistato in tv non si sa nemmeno che cosa scrivere nel sottopancia. Ora che il Pd potrebbe prenderselo Bersani, i suoi spazi d'azione si riducono. Così fa circolare ipotesi di scissioni, miniscissioni, quasi scissioni verso Casini. Però non si sa con quali truppe. Perché anche i suoi fedelissimi cominciano a vacillare nel «credo» verso l'ex sindaco. Goffredo Bettini, ad esempio, l'ha già mollato da un bel po'. E ora, dicono i boatos, anche Linda Lanzillotta, che è stata assessore con lui in Campidoglio, pare abbia preso le distanze. L'altro in mezzo al guado è Casini. Ma intanto si avvicinano le Regionali e deve cominciare a scegliere, il compito più difficile al quale viene puntualmente chiamato. Poi c'è Gianfranco. Tutti e tre hanno un bisogno disperato in questo momento di fare casini. Proprio fare ammuina alla borbonica maniera. Far vedere che esistono. Dimostrare che sono al centro della scena e che solo da loro possono dipendere i destini del pianeta. Infine c'è Luca. Il quale ha più classe degli altri tre. E infatti questo fine settimana non la passerà nella triste Chianciano bensì a Monza per il Gran Premio. Poi si vedrà. Se si vedrà qualcosa.

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