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Se buttiamo via il jackpot vincente

Il leader libico Gheddafi

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Difficile trovare un Paese così rapido e lesto, così puntuale e preciso nel farsi male da solo. E va bene, le Frecce Tricolori si chiamano così e la richiesta libica di far volare la squadriglia aerea spargendo fumo verde come verde è la rivoluzione di Gheddafi era ridicola. Ma tutto quello che ne è scaturito e anche tutto ciò che ha preceduto l'esibizione della flotta di Rivolto è stato patetico. Perché se è giusto che un Paese non sottometta la propria dignità nazionale è altrettanto vero che di un po' di fumo che sbuffa da un ala d'aereo si sta parlando. Andiamo al sodo. Per effetto della sopravvalutazione del prezzo del petrolio, Gheddafi si ritrova nel portafoglio una cifretta di circa 140 miliardi di euro da spendere. No, non è un refuso: non 140 milioni, come il Superenalotto, 140 miliardi. E ha intenzione di investire ma non ha ancora chiaro in che cosa. E così ha messo in palio una sorta di lotteria mondiale a cui mezzo mondo sta facendo a gara per partecipare. Gli inglesi hanno dimenticato in fretta attentati del passato. Gli americani hanno rapidamente riposto nel cassetto i dissapori del passato e Obama è corso a stringere la mano a Gheddafi in quel di L'Aquila. I francesi si sono fatti avanti. Gli spagnoli alternano momenti d'amore e di odio a seconda delle possibilità che si aprono sugli appalti. Gli italiani sono già in pole position ma stanno facendo di tutto, come da tradizione nazionale, per retrocedere agli ultimi posti. I radicali protestano perché non avrebbero voluto che le Frecce volassero. Ma dovrebbero ricordare che anche la loro Emma Bonino, quando fu ministro del Commercio estero, si guardò bene di compromettere l'interesse nazionale in nome di battaglie teoriche. E a chi gli chiedeva di chiudere con la Cina per protesta in favore dei diritti umani, anche dopo aver lasciato il dicastero di via Boston ammetteva: «Ci isoleremo noi. Punto e basta». In Italia la situazione è devastante. Sempre più spesso operai s'arrampicano su torri, tetti, tralicci per farsi notare. Ancora non è chiaro chi riuscirà ad alzare le saracinesche in questo torrido settembre. Eppure ci si accapiglia per uno sbuffo d'aereo. Questa è l'Italia. E se le Frecce disegnano in cielo il Tricolore vincendo le resistenze tripoline, c'è chi s'alza in piedi manco avesse vinto la Coppa del mondo non si sa di che. La Libia dovrà realizzare nel prossimi mesi autostrade. E non solo quella famosa per la quale Berlusconi e Gheddafi hanno simbolicamente posato la prima pietra due giorni fa. No, autostrade: l'intero Paese ne è sprovvisto. E poi scuole, ospedali, istituto tecnici. E case popolari. Qualcuno già si è mosso: Bonatti è già presente, nell'ingegneria Techint e Technip, Iveco e Calabrese nei trasporti, Sirti e Telecom nelle comunicazioni. Ovviamente il gas e il petrolio con Eni che è in Libia da mezzo secolo, Enel power vuole crescere. Solo nel settore energetico è già attivo un programma di investimenti per 14 miliardi di euro. Gheddafi vuole poi investire. Cerca imprese nelle quali mettere i propri soldi, impegnare i propri fondi di investimento, e le cerca soprattutto in Italia. Non ci sono in giro per il mondo molti affari da portare a casa. Persino la Cina cerca altrove. Cerca in Africa, bussa alla porta della Libia. L'Italia è in prima fila. Perché in Libia già ci sono stati e le grandi infrastrutture ancora attive sono quasi tutte di marca tricolore. Perché hanno un modello industriale, quello del pmi, che è perfetto per i Paesi in via di sviluppo e che hanno superato la prima fase dell'industrializzazione. Perché l'Italia è l'unico grande Paese al mondo ad aver chiesto scusa per il suo passato coloniale, e qualcosa vorrà pur dire. Eppure, abbiamo l'opposizione più pazza del mondo. L'unica in giro per l'Occidente a scovare le cose più insignificanti pur di attaccare Berlusconi. Lo vadano a spiegare a quei poveracci aggrappati alle torri pur di salvare il loro posto di lavoro. Lo vadano a dire che loro, quelli di sinistra, preferiscono dire no a chi vuole investire e magari salvare qualche impresa da una sicura chiusura. No, questa sinistra preferisce la crisi.

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