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Biotestamento, Schifani attacca Fini

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dall'inviatoNicola Imberti RIMINI «Il rapporto tra me e Gianfranco Fini è ottimo: la si può pensare diversamente su alcuni punti ma questa è la bellezza della democrazia. E la mia stima per Fini rimane immutata, anzi». Il presidente del Senato Renato Schifani, giunto al Meeting di Comunione e Liberazione accompagnato dalla moglie, ha appena finito di parlare davanti ad un'attenta platea. Tolta la giacca ha indossato, sopra la camicia, la maglietta verde dei volontari. Si ferma per visitare la mostra sul Rione Sanità di Napoli e immediatamente qualcuno intona, tra gli applausi, «'O sole mio». Schifani è quel che si definisce un «amico» del popolo del Meeting e il discorso pronunciato a conclusione di questa trentesima edizione, ha sicuramente rafforzato questo legame. Un discorso netto, soprattutto sui temi etici. E anche se il presidente del Senato si premura di confermare il suo ottimo rapporto con quello della Camera, è impossibile non notare una profonda distanza tra i due. Ormai da settimane Fini interviene quasi quotidianamente per ribadire che la legge sul testamente biologico approvata da Palazzo Madama deve essere modificata. Schifani non ci sta e glielo dice chiaramente. «Le soluzioni approvate in Parlamento andranno rispettate - avverte -, perché frutto di un libero dibattito e di un libero voto espresso senza condizionamenti esterni di carattere etico». La sala applaude convintamente. Ma il presidente non si ferma. «Quando è all'esame del Senato una qualunque proposta di legge - incalza -, mi astengo rigorosamente dall'esprimere giudizi di merito sul suo contenuto. Taccio. Il mio ruolo super partes mi impone il silenzio». E comunque, aggiunge, «nel voto sulla legge hanno prevalso non le indicazioni di partito, ma le singole coscienze dei senatori che più volte, anche segretamente, hanno confermato con una maggioranza superiore a quella elettorale, la necessità di introdurre questi confini e questi limiti. Lo hanno fatto liberamente, con coscienza e senza ingerenze di alcun tipo: né religiose, né politiche, né tantomeno istituzionali». Il colpo è sferrato. Su questi temi, insiste Schifani, deve valere la libertà di coscienza e la libertà di parola. Per tutti. Cattolici e non. Anche per questo «sarebbe un errore condizionare i deputati attraverso interventi, seppur autorevoli, di qualunque provenienza». La platea si infiamma. Ma è tutto l'impianto del discorso fatto da Schifani che convince il popolo del Meeting. Dalla necessità di discutere sui rischi della pillola abortiva RU486 alle perplessità sul «tentativo in atto di negare valore all'insegnamento religioso», dalla centralità della sussidiarietà alla possibilità di «raggiungere un punto di equilibrio tra legalità e solidarietà, tra tutela della sicurezza e rispetto della dignità umana» abbandonando le polemiche di questa estate. «Mi auguro che si abbassino i toni - insiste Schifani - consapevoli del fatto che nel nostro Paese è profondamente radicato il rispetto della vita umana, di qualunque colore e razza». Schifani è un fiume in piena. Chiede tolleranza zero contro la mafia, rilancia la battaglia per le «radici cristiane dell'Europa», stoppa l'ipotesi di far nascere «nuovi partiti senza un radicamento reale del territorio». Ma soprattutto parla del pericolo che nasce dall'impedire «il riavvicinamento e il dialogo tra forza politiche diverse, esasperando un clima di scontro». Non manca un riferimento a coloro che pianificano «in modo scientifico tentativi fine a se stessi, di delegittimazione e indebolimento dell'immagine dei propri avversari». Per questo occorre riaprire una «stagione costituente» con la consapevolezza che non si possono «disegnare progetti di riforma "contro qualcuno"» e che in ogni caso il «Senato non sarà destinato a divenire un domani una "camera debole"». Anche su questo punto Fini è avvertito.

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