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L'affluenza alle urne si dovrebbe attestare tra il 37 e il 45 per cento. Tra un mese i risultati

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Negozichiusi, strade deserte, solo qualche presenza umana maschile, a piedi o in bicicletta, e poche macchie azzurre, leggere e svolazzanti, tra sole cocente e vento polveroso, carico della sabbia con cui sono costruite le abitazioni, anche nella periferia. Una Kabul praticamente svuotata si è affacciata alla soglia dell'importante appuntamento elettorale che si è svolto ieri in Afghanistan, velocemente e senza troppi intoppi, sotto gli occhi attenti della comunità internazionale, Stati Uniti in prima fila. Urne aperte alle 7 e chiuse, più o meno ovunque, alle 16, come previsto. Senza il traffico di sempre, il silenzio irreale della capitale ha amplificato quella sensazione di sospensione e di attesa che qui, dopo le minacce dei talibani dei giorni scorsi, si temeva potesse essere interrotta da qualche scoppio assordante e improvviso. Un vantaggio certamente per i militari della Folgore, che ogni mattina partono da Camp Invicta e pattugliano le vie d'accesso a Kabul, la possibilità, cioè, di muoversi sui «magici» Lince con maggiore scioltezza, a sfidare gli IED nascosti ai bordi delle strade. Scoppi ci sono stati sicuramente nell'Est, a Kandahar, dove quattro razzi sono caduti in aree differenti, uccidendo sei ragazze, o nella zona del Regional Comand West, dove si sono verificati alcuni episodi ostili, almeno una decina di lanci di razzi, udibili sin dalle prime ore della mattinata, più per rimarcare la presenza degli insurgents che per creare danni reali. In termini paradossali, questo significa che, nonostante un bollettino finale di 23 morti, sotto il profilo della sicurezza le elezioni presidenziali afghane portano con sé un bilancio tutto sommato positivo. Così è almeno per il colonnello Aldo Zizzo, comandante dell'Italfor a Kabul, per ciò che riguarda l'area della Valle di Musahi, sotto il controllo italiano, dove al di là delle aspettative, su «seimila schede previste, almeno cinquemila sono state utilizzate per il voto». Anche i timori di spettacolari attacchi dei talibani si sono rivelati alle fine minacce non finalizzate, pure se, alla vigilia del voto, negli ambienti Isaf circolavano informazioni sulla possibile presenza di qualche centinaia di «suicide man» pronti ad esplodere nella capitale. Quattro di loro sono stati fermati dall'ANP, le forze di polizia afghana incaricata di vigilare all'ingresso dei seggi, prima di entrare in azione di fronte ad un comando di polizia. Diverso il discorso per quel che riguarda la parte politica. I primi spogli sono iniziati alla chiusura dei siti elettorali, ma di fronte ad un presidente che punta alla riconferma al primo turno e che dichiara «è stato un successo, abbiamo sconfitto le minacce», per i risultati ufficiali bisognerà attendere quasi un mese. Il tempo in cui misurare il livello di maturità raggiunta dalle nuove e fragili istituzioni afghane nella capacità di ricreare nuovi equilibri, sulla base di quanto decreteranno le urne. Il problema non è se vincerà o meno Karzai, ma in che modo. Perché se è vero che, con tutta probabilità, il vincitore di questa tornata sarà lui, è anche vero che sarà necessario dare una nuova impronta al Paese. È questo che la gente chiede ed è per questo che molti di loro hanno sfidato l'incognita della sicurezza e sono andati al voto. Silenziosi. «Le minacce sono esistite per tanti anni qui», dice Naim, all'ingresso di una polling station in una scuola, a nord di Kabul, «ma io volevo scegliere il mio presidente». Un presidente che per Naim ha il volto noto dell'uomo ben vestito che, da cinque anni, siede sulla poltrona di capo di Stato, nonostante le mille critiche mosse nei suoi confronti anche dagli alleati Usa che, dal 2001, l'hanno voluto alla guida del Paese. Il «sindaco di Kabul», così come lo definiscono in molti per l'incapacità di governare tutto l'Afghanistan, è il candidato scelto anche da un gruppo di giovani scrutatrici che hanno prestato servizio in alcuni seggi sistemati in una caserma dei pompieri, sempre nel nord. Loro, che si ritraggono di fronte ad un obiettivo fotografico, ma che sorridono timidamente e cercano di rispondere in uno stentato inglese alle domande su queste elezioni, dicono che «le donne non hanno avuto paura delle minacce». Stando a fonti locali afghane, l'affluenza alle urne dovrebbe essersi attestata tra il 37 e il 45 per cento, un range molto ampio che si spiega con l'impossibilità di avere dati certi nel giro di poche ore, considerando che nel Paese non esiste una rete informatica tale da garantire una comunicazione reale e che in alcune aree di questa nazione ostile, dal punto di vista orografico, i siti sono stati raggiunti con gli asinelli. Il governo Karzai ha rilanciato cifre molto più rassicuranti, parlando di una partecipazione del 50%, mentre secondo Unama, la missione Onu per l'Afghanistan, la popolazione che si è recata al voto sarebbe circa il 37,5% dei 17 milioni degli aventi diritto. Soddisfazione è stata espressa dal ministro degli esteri italiano, Franco Frattinì: «È un passo incoraggiante, segno che un cambiamento nel paese dei talebani è iniziato. Siamo orgogliosi dei nostri soldati».

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