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«Modifiche inevitabili per riequilibrare il sistema»

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.Nel 2008 si pose come obiettivo il pareggio di bilancio per il 2011, poi con la crisi economica tutto è saltato. Ma questo non vuol dire che il governo ci ha rinunciato e quindi in questa ottica sarà inevitabile intervenire di nuovo su previdenza e sanità, se non si vogliono mettere nuove tasse». Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione lavoro della Camera per il Pdl, commenta così il rapporto del Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale. Dobbiamo attenderci un altro giro di vite sulle pensioni? «Le misure sulle pensioni contenute nel decreto anticrisi sono sicuramente utili e positive. In particolare la norma che dal 2015 collega automaticamente il requisito anagrafico all'evoluzione dell'attesa di vita. Però nessuno si illuda, nemmeno il governo: non siamo alla fine della storia in materia di pensioni». Il che vuol dire... «Significa che, rotto il ghiaccio con il decreto anticrisi, si può tornare a parlare di pensioni. Il rapporto del Nucleo di Valutazione mette in evidenza quanto era già stato indicato dalla Ragioneria Generale dello Stato e cioè che l'incidenza della spesa pensionistica sul pil cresce nei prossimi anni di oltre un punto per effetto della diminuzione del pil. Le previsioni macroeconomiche svolte alla fine degli anni '90 prevedevano andamenti che non si sono verificati». Che riforme andrebbero fatte? «Si sono perse le tracce di quella razionalizzazione degli enti previdenziali prevista dalla controriforma Damiano per un valore di 3,5 miliardi di euro in un decennio. Senza quelle misure di contenimento della spesa, dal 2011 il costo del lavoro aumenterà dello 0,019%. Poi bisogna tornare nel sistema contributivo ad un pensionamento flessibile, uguale per tutte le tipologie e per uomini e donne, in un range compreso tra 62 e 67 anni, corretto dall'evoluzione dell'attesa di vita da un lato e da quella dei coefficienti di trasformazione dall'altro. Infine va introdotto un elemento di solidarietà del tutto assente nella riforma Dini, ovvero una pensione di base, finanziata dal fisco, per i nuovi occupati dipendenti, autonomi e atipici accompagnata da una pensione contributiva con una aliquota più ridotta (24-25%) e uguale per tutte le categorie». Sono misure che costano... «Si tratterebbe di trasformare le risorse dell'integrazione al minimo che esiste ancora nel sistema retributivo, nell'istituzione di una pensione di base nel sistema contributivo. La spesa certo aumenterebbe ma in maniera virtuosa determinando una forma di giustizia generazionale. I risparmi si fanno aumentando l'età pensionabile coerente con l'attesa di vita». Le misure del decreto anticrisi fanno partire dal 2015 l'aumento dell'età pensionabile di tre mesi e poi di tre-quattro mesi per gli anni successivi fino a arrivare nel 2020 a 62 anni per le donne e a 67 ani per gli uomini. Non si procede in modo troppo soft vista l'urgenza della situazione dei conti? «In effetti il meccanismo è lento. Con queste misure il governo ha rotto le uova ma ora deve fare la frittata. Tremonti ha usato la stessa logica seguita nel 2003 quando mise lo scalone nel 2008 in un'altra legislatura. Il governo ha preferito agire con cautela perchè la materia è delicata, tant'è che ha dovuto essere stimolato dall'Unione europea per intervenire sull'età pensionabile delle donne del pubblico impiego». Lei intende avanzare a breve queste proposte di riforma? «Un anno fa ho presentato una proposta di legge che conteneva proprio queste proposte: pensionamento flessibile, pensione di base e due anni di contribuzione figurativa per le donne in cambio di un incremento dell'età pensionabile. Il decreto anticrisi ha dimostrato che la materia pensionistica non è più intoccabile e anche i sindacati hanno accettato gli interventi consapevoli che erano una strada obbligata».

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