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L'ultima da sinistra: Arma mafiosa

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Dodicilettere. Un apostrofo. «L'antitaliano». Poi, come si sa, un aggettivo ha sempre bisogno di un nome a cui accostarsi. Eccolo. Giorgio Bocca. Anzi, per dirla tutta, il Cavaliere di Gran Croce Giorgio Bocca. Così, con nome, cognome e aggettivo ogni settimana, L'espresso apre una delle sue prime pagine. Uno spazio esclusivo gestito dal giornalista che, anche ieri, ha voluto accendere la polemica sostenendo come sui «compromessi fra mafia e Stato si fonda l'unità d'Italia». Una frase che rende ancora più esplicito il titolo scelto dall'autore per il suo pezzo: Quanti amici ha Totò Riina. Un articolo di denuncia. Un attacco rivolto ai Carabinieri. Un affondo rivolto proprio a coloro che operano in Sicilia sui quali, secondo il giornalista, graverebbe l'ombra della collusione con la mafia. Un rapporto regolato da «tacite regole di coesistenza» dettate dal terrore che la criminalità organizzata sarebbe in grado di incutere «ai Carabinieri, specie quelli che arrivano da altre provincie, sanno che la loro vita è appesa a un filo che con un colpo di lupara può raggiungerli in ogni vicolo, in ogni tratturo». Un'affermazione ripetuta più volte, arrivando addirittuta in chiusura di pezzo, a definirla «naturale». Come se volesse giustificare le proprie convinzioni mettendo in dubbio l'onorabilità di tanti ragazzi che hanno giurato di difendere lo Stato mettendo a rischio, se necessario anche la propria vita: «Non è naturale, obbligatorio che si creino delle tacite regole di coesistenza o di competenza?» Chissà se la storia avrebbe preso un altro corso se, ad esempio, il Generale dei Carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa avesse seguito la linea ipotizzata da Bocca delle «tacite regole di coesistenza». Forse sarebbe ancora vivo. Anzi sarebbe proprio coetaneo del giornalista. E invece no. Proprio lui che conosceva così bene la mafia non si è fatto intimorire e per questo il 3 settembre 1982 lo hanno assassinato. Chissà cosa avrebbe detto Dalla Chiesa vedendo il suo nome riportato in un articolo assieme a quello di Totò Riina e di Massimo Ciancimino, figlio del sindaco mafioso di Palermo don Vito. Lui non c'è più. Non può indignarsi. Ma a difendere la sua memoria, quella di altri 32 carabinieri caduti per mano mafiosa, e soprattutto l'onorabilità della Benemerita, scende in campo addirittura il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri. E lo fa con un comunicato che non lascia spazio ad interpretazioni: «Sconcertante. I nostri caduti confutano qualsiasi ombra di collusione e pavidità. Alla loro eroica testimonianza si affianca quella delle migliaia di Carabinieri che in Sicilia continuano ad offrire quotidiane prove di abnegazione e di riconosciuta efficienza. Sono gli stessi Carabinieri che ieri hanno arrestato lo stesso Riina e oggi hanno stroncato sul nascere il tentativo di riorganizzazione di Cosa Nostra». E tuona: «Sorprendono le ingiustificate e infamanti accuse che si risolvono nella delegittimazione dell'operato di fedeli servitori dello Stato. Il Carabiniere è pienamente consapevole del rischio che corre ed è invero "innaturale" insinuare che risponda a "tacite regole di coesistenza", perché obbedisce con coraggio e lealtà unicamente all'imperativo del dovere, per la difesa della legalità e l'affermazione del bene comune». Solidarietà all'Arma e indignazione per l'articolo di Bocca sono stati il denominatore comune delle dichiarazioni arrivate dal mondo della politica. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa: «La stima incondizionata all'Arma dei Carabinieri ed ai Carabinieri che operano in Sicilia è ovvia ma non è sufficiente». Rotondi, collega per l'Attuazione del Programma di Governo, è ancora più diretto: «Con tutto il rispetto per Giorgio Bocca, questa volta ha steccato. Chieda scusa all'Arma». Solidarietà all'Arma arriva anche da Marco Minniti, responsabile Giustizia del Pd: «Non può essere messa in discussione che l'Arma dei Carabinieri costituisca e abbia costituito nel passato un pilastro fondamentale nell'azione di contrasto contro le mafie». Mentre Pier Ferdinando Casini è ancora più diretto: «L'articolo di Giorgio Bocca è infame e ogni altro commento è superfluo».

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