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Puglia la sinistra si assolve

Niki Vendola

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I magistrati devono fare il loro lavoro. Sempre e comunque. A patto che si tratti di Silvio Berlusconi. Non si sa ancora se le «scosse» che stanno facendo tremare la Puglia finiranno con una serie esemplare di condanne, ma una cosa è certa: i big del centrosinistra si sono già autoassolti. Succede sempre quando a finire nel mirino dei magistrati non sono il premier o il centrodestra. Se i procedimenti interessano il Cavaliere, infatti, la colpevolezza è quasi «scontata». Al contrario, ogni volta che un po' di fango sporca i vestiti immacolati della sinistra, la situazione diventa immediatamente meno lineare. E, puntuali, arrivano i «distinguo», i «però», i «ma». Così, ieri, sulle pagine dell' "Unità" Nichi Vendola ci ha spiegato che l'inchiesta sulla sanità pugliese altro non è che un «teorema giudiziario». Io penso - ha detto - che la magistratura debba fare il proprio lavoro, ma penso anche che il pm abbia compiuto degli azzardi nelle modalità di procedere. C'è stata un'inutile spettacolarizzazione». Insomma, poco importa che il vicepresidente della sua giunta Sandro Frisullo abbia dovuto lasciare la poltrona per via dei suoi rapporti con Giampaolo Tarantini l'imprenditore che portò la escort Patrizia D'Addario a Palazzo Grazioli. Poco importa anche che Alberto Tedesco, per quattro anni assessore regionale alla Sanità, venga ora indicato dal pm Desiré Digeronimo come un uomo al vertice di «un'organizzazione criminale, radicatasi all'interno della pubblica amministrazione». Per Vendola si tratta semplicemente di un «teorema giudiziario». Ma Nichi è in un buona compagnia. Per il sindaco di Bari Michele Emiliano, ex magistrato prestato alla politica, «un'indagine in materia di sanità è un'indagine particolarmente complessa che necessita di esperienza e di preparazione specifica, tanto che per tale ragione è ordinariamente di competenza del pool specializzato in reati contro la Pubblica amministrazione istituito presso la procura di Bari». Ergo, anche se l'esponente del Pd non lo dice in maniera brutale per evitare polemiche, i magistrati della Direzione distrettuale antimafia farebbero bene a occuparsi di altro. E se il vicecapogruppo al Senato del Partito Democratico Nicola Latorre assicura che «in Puglia non esiste nessuna questione morale», Massimo D'Alema non è da meno: «Il Pd non ha né connessioni con la criminalità, né ha costruito i suoi bilanci con le tangenti». Tutto sotto controllo, quindi. Anche se l'inchiesta continua ad allargarsi a macchia d'olio loro, a differenza di Berlusconi, sono dei «santi». In fondo perché stupirsi. L'Italia dei Valori, partito che ha fatto della legalità la propria bandiera, non si comportò molto diversamente quando, a finire nel calderone, furono i suoi uomini. La vicenda era quella degli appalti affidati alla «Global service» di Alfredo Romeo. Nel procedimento si scoprì che Americo Porfidia, deputato campano dell'Idv, era coinvolto in un'inchiesta sulla criminalità organizzata. Grande scandalo, polemiche a non finire, ma per ora il buon Americo se l'è cavata con un autosospensione dal partito. E si è tenuto stretto lo scranno a Montecitorio lasciando praticamente cadere nel vuoto l'appello di Franco Barbato, altro parlamentare dipietrista, che in quegli stessi giorni attaccava: «O facciamo pulizia o me ne vado perché qui spuntano camorristi, strane facce e corriamo il rischio di diventare il partito taxi su cui salgono quelli che vogliono rubare, arraffare, farsi i fatti propri». Nemo profeta in Patria. Che dire poi del figlio di Tonino, Cristiano Di Pietro? All'inizio fecero scalpore alcune sue telefonate intercettate nell'ambito delle indagini. Ma il padre assicurò: «L'inchiesta non riguarda mio figlio, ma vicende molto più grandi». Poi si scoprì che Cristiano era indagato e allora ci si affrettò a spiegare che si trattava di un atto dovuto. Nel frattempo anche lui ha lasciato l'Idv (ma non il consiglio provinciale di Campobasso). E comunque lo ha fatto con una lettera in cui, immancabilmente, ha spiegato la giusta versione dei fatti: «La mia unica colpa è quella di essere "figlio di mio padre". Per colpire lui stanno colpendo me, mia moglie ed i miei tre figli, dimenticando che anche noi abbiamo la nostra dignità ed abbiamo il diritto di esistere». Chissà perché, quando in prima pagina finiscono mogli e figli di esponenti del centrodestra che poi, magari, vengono prosciolti da ogni accusa, va tutto bene. Così vengono in mente le parole che D'Alema pronunciò nell'Aula della Camera nel luglio del 2008. Si discuteva l'approvazione del cosiddetto Lodo Alfano e il lìder Maximo si rivolse al premier: «Rinunci a questa leggina ed affronti il giudizio per accuse che ha sempre respinto. Lo faccia a testa alta». Appunto.

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