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Al Quirinale c'è grande saggezza

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Ieri il Presidente ha respinto le dimissioni di tre consiglieri laici del Csm, Giuseppe Maria Berruti, Ezia Maccora e Vincenzo Siniscalchi che si erano dimessi per protesta contro il ministro Alfano che aveva parlato di nomine del Csm lottizzate. Napolitano ha difeso il Csm e ha invitato a lasciar perdere questi giudizi trancianti e ha inoltre invitato, come è solito fare, al reciproco rispetto fra politica e magistratura. Tuttavia c'è un passaggio della nota del Quirinale che farà più rumore. Il Presidente non approva le «contrapposizioni esasperate» ma, aggiunge, bisogna evitare di «interferire nella fase delle decisioni del Parlamento». La frase è molto netta e si presta a molti ragionamenti. Nel recente passato molto spesso il dibattito parlamentare è stato accompagnato da prese di posizione della magistratura che non hanno tenuto conto delle prerogative delle Camere. Spesso è capitato di assistere anche ad interventi che oltre a rappresentare, per usare il linguaggio presidenziale, vere «interferenze», si sono tradotti nel tentativo di «tirare per la giacchetta» il Presidente della Repubblica per spingerlo a respingere, non firmando, le leggi che il Parlamento nella sua sovranità aveva approvato. Da ultimo è accaduto alla legge sulle intercettazioni telefoniche che Napolitano valuterà, nella sua autonomia, appena il Parlamento avrà licenziato il provvedimento. Lo spirito garantista del Capo dello Stato, oltre che il suo inflessibile attaccamento alle istituzioni, non poteva restare silente di fronte a tentativi di travolgere il corretto rapporto fra i diversi organi dello Stato. Il problema che pone Napolitano non è solo un grande problema politico ma è, con tutta evidenza, anche un problema culturale. Abbiamo alle spalle, e temo anche di fronte a noi, anni in cui il dibattito sulla magistratura ha dato vita a teorizzazioni che poco hanno a che fare con un corretto funzionamento delle istituzioni. Il continuo scambio fra politica e magistratura indebolisce la stima verso i magistrati dell'opinione pubblica. Appena qualche giorno fa, inoltre, abbiamo letto, in una intervista post elettorale, dell'ex pm di Catanzaro oggi europarlamentare di Di Pietro, Luigi De Magistris, addirittura la definizione della magistratura come di "un potere diffuso" che si dovrebbe contrapporre ad altri poteri. Nasce da qui, da questa estrema politicizzazione della magistratura che esorbita dai propri compiti, la vera malattia italiana. Ovviamente nessuno di noi deve dare alle parole del Presidente della repubblica un significato diverso dalla lettera del comunicato. Ma questo invito a "non interferire" sull'attività parlamentare mentre essa si volge ha il valore di un severo ammonimento. Finchè la magistratura riterrà che l'intera vita pubblica deve essere soggetta alla propria iniziativa "preventiva" non saremo un paese normale.

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