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La sfida di Teheran

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AntonellaVicini C'è chi lo ha definito Super Friday, guardando al Super Tuesday statunitense. È indubbio che il venerdì elettorale in Iran, il decimo dalla nascita della Repubblica islamica, abbia portato con sè qualcosa di grande. A partire dai numeri. Più di quarantasei milioni gli iraniani con diritto di voto; quasi quarantaseimila le urne elettorali in tutto il Paese, un'affluenza che, stando al Ministero dell'Interno, ha superato il 70 per cento. Dalla mattina alle 8, ieri, fuori dai seggi, costituti da scuole, moschee, banche e postazioni mobili, si sono formate lunghe file che hanno costretto il Comitato speciale per le elezioni a rimandare di volta in volta la chiusura delle urne. Tra i primi a votare i quattro candidati: il presidente in carica Mahmoud Ahmadinejad; l'ex primo ministro, Mir-Hossein Moussavi, accompagnato dalla immancabile moglie con cui si è presentato mano nella mano; l'ex speaker del Majlis Mehdi Karroubi e il segretario del Consiglio degli esperti, capo storico dei Guardiani della Rivoluzione, Mohsen Rezaei. Insieme a loro, il presidente del Parlamento e la Guida Suprema Ali Khamanei, il quale ha lanciato un appello alla partecipazione, chiedendo di votare la persona «migliore e più competente». «Chiamo tutta la popolazione iraniana a esercitare il diritto di voto e a giocare il loro ruolo determinante nella scelta della più alta carica politica del Paese», ha sottolineato l'ayatollah Khamanei, evitando quella presa di posizione che gli era stata chiesta, invece, da Hashemi Rafsanjani. Nei giorni precedenti al voto sui telefonini cellulari erano circolati sms che raccomandavano ai sostenitori di Moussavi di non recare con sé nessun segnale distintivo, come nastrini verdi, spillette e simili, che potessero far intuire le loro intenzioni di voto. Alcuni messaggi consigliavano anche di portare una penna per il timore che quelle fornite ai seggi fossero cancellabili. Una serie di accorgimenti al fine di evitare i brogli che, nelle precedenti elezioni, potrebbero aver aiutato il presidente in carica ad ottenere la poltrona che ora cerca di difendere. Da ieri mattina, però, le linee telefoniche quasi bloccate hanno impedito ulteriori comunicazioni. Secondo alcuni si tratterebbe di una precisa strategia governativa per frenare nuovi tam tam su cui il Ministero delle Telecomunicazioni ha annunciato che verrà fatta chiarezza. Gli sms hanno rappresentato, in queste settimane, una forma di comunicazione al di fuori dei canali ufficiali molto intensa e difficilmente controllabile con cui i sostenitori di Moussavi, e non solo, hanno monitorato le affermazioni di Ahmadinejad e si sono dati appuntamento nelle principali piazze della città. Anche ieri sera avevano in programma di riunirsi sotto il Ministero dell'Interno, ma la pioggia e i controlli di polizia intensificati non hanno facilitato i loro progetti. Agli allarmi su eventuali brogli, ha fatto eco nei giorni scorsi il Comitato speciale per elezioni, assicurando che tutto si sarebbe svolto sotto gli occhi di osservatori imparziali, grazie anche alla presenza di rappresentanti esterni, uno per ogni candidato, in 368 seggi. Nel corso di un'intervista, però, Moussavi ha denunciato che ad alcuni suoi rappresentati è stato impedito di fare ingresso nei seggi. Poco prima, dal quartier generale dello stesso candidato e da quello di Karroubi era giunta la notizia della fine delle schede elettorali, ancor prima che finissero le operazioni di voto, in alcune località fuori Teheran e nel sud della capitale, a Shahre Rey. Per votare in Iran basta presentarsi ad uno dei tanti seggi distribuiti un po' ovunque nelle città e registarsi lasciando la propria impronta digitale. Non esistono cabine elettorali chiuse. Il voto è un momento comunitario, a partire dalle file - una per gli uomini e una per le donne - durante le quali gli elettori continuano a scambiarsi le impressioni dell'ultimo minuto, fino all'atto del voto che avviene nella stessa stanza in cui si è ritirata la scheda, poggiati su un tavolo insieme ad altri elettori e scambiandosi le penne all'occorrenza. In questo contesto un controllo capillare delle operazioni di voto sembra difficile. I risultati dovrebbero arrivare già nella serata di oggi, ventiquattro ore dopo la chiusura dei seggi. Ma già ieri sera c'è stata la corsa alla proclamazione: a seggi ancora aperti Moussavi dichiarava d'aver ottenuto il 65% dei voti, mentre l'agenzia di stampa ufficiale Irna annunciava la vincita di Ahmadinejad. A notte inoltrata la commissione elettorale iraniana ha affermato che, con quasi la metà delle schede scrutinate, il presidente Ahmadinejad risultava vincitore nelle elezioni presidenziali con circa due terzi dei voti. Un distacco spiegato, in quel momento dagli osservatori esteri, con il fatto che a essere scrutinate per prime fossero le schede di collegi in aree rurali, dove l'attuale capo dello stato Ahmadinejad è considerato più forte di Mousavi. Questo a metà dello spoglio era accreditato del 30% dei voti. Un risultato immediatamente contestato. Nella centrale Piazza Fatimi si sono subito registrati i primi tafferugli tra la polizia e i sostenitori di Moussavi.

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