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«L'unica certezza: le avarie e una tempesta eccezionale»

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Nonè possibile fare alcuna ipotesi su quali siano le cause della caduta dell'Airbus di Air France. «Ma su un aereo così tecnologicamente avanzato, anche in caso di avaria elettrica, il pilota ha sempre la possibilità di tenersi in volo. Tecnicamente si dice che i sistemi si degradano. Entrano in azione altri generatori elettrici mossi da una piccola pala eolica. E infine può subentrare anche un back up (un sistema di navigazione di base ndr) che consente comunque di effettuare manovre» spiega a Il Tempo, il comandante Fabio Berti. E allora? «Non è provato che l'aereo sia caduto per un'avaria elettrica. Siamo nel campo delle ipotesi e il black-out sarebbe solo uno degli eventi negativi che si sono concatenati. Il punto è un altro. Capire perché davanti a un fronte intertropicale così pericoloso i piloti ci si siano finiti dentro». Cosa avrebbero potuto fare? «È molto difficile dirlo e bisognerebbe trovarsi in quelle condizioni, anche io passo spesso su quella tratta. È molto importante usare il radar e a volte, a vista, è possibile valutare l'intensità dei fenomeni metereologici che si creano nella zona dove è avvenuto l'incidente. I cumulinembi si alzano improvvisamente fino a 55 mila piedi(circa 15 chilometri) di altezza. E per evitarli ci si sposta dalla rotta tracciata anche di 100 miglia. Un fenomeno meterologico così violento, come sembra fosse, poteva esser evitato. Se l'equipaggio c'è finito dentro bisogna capire per quale ragione. Anche perché ai due aerei che sono passati prima e dopo l'Airbus non è successo nulla». Torniamo alle ipotesi dell'incidente. Attentato? «Non si può escludere. Ma sarebbe una strana coincidenza che sia avvenuto in prossimità del fronte intertropicale». Velocità troppo alta o troppo bassa? «Se un aereo finisce in una zona di forte turbolenza la velocità varia. A volte si stacca autonomamente l'autopilota e comunque se ci si avvicina troppo alle condizioni di stallo il sistema interviene in modo automatico. D'altro canto una velocità troppo alta può sì danneggiare le strutture ma non provoca un cedimento repentino». Al normale viaggiatore suona strano l'idea del buco nero in cui l'aereo entra quando vola nella zona in cui è sparito l'Airbus. «Zone del genere ci sono anche nel Nord Atlantico. In realtà non è vero che si vola senza riferimenti è solo il radar di terra che non ti vede più. In queste aree la posizione si riporta invece che con la radio Vhf con quella Hf (High Frequencies). Negli ultimi anni poi tramite la rete dei satelliti possiamo comunicare con sistemi alternativi». Il mistero tende a infittirsi perché non si trovano i rottami? «Possono esser tante le variabili che lo spiegano. Se l'aereo ha impattato quasi intero il mare i pezzi sono concentrati in una zona così vasta ed è difficile trovarli. Sarebbero certamente diffusi su un'area più vasta se il velivolo si fosse distrutto in volo. E qui c'è un altro punto da chiarire» Quale? «Il sistema Acars (che trasmette i dati di volo al satellite ndr) ha riportato l'ultima posizione dell'aereo ma non si sono attivati gli Elt e cioè i sistemi che segnalano l'emergenza alla stazione di terra quando c'è un impatto. E ancora non è chiaro perché i piloti non hanno dichiarato emergenza neanche sulle frequenze Interpilot con le quali è possibile parlare con i velivoli vicini alla propria rotta». La sua tesi in proposito? «L'evento meterologico eccezionale assieme alle avarie sono l'unica cosa certa».

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