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Quelle inchieste di carta straccia

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Hanno invaso la vita privata del loro avversario con una trivialità così sfacciata da risultare indigesta a molti dei loro stessi elettori. Ha un bel dire Massimo D'Alema, con la sua solita aria saccente, che è stato Silvio Berlusconi a portare in pubblico la sua vita privata facendosi intervistare da Bruno Vespa nel salotto televisivo di Porta a porta. Ci sarebbe da chiedersi se ci faccia o ci sia l'ex ministro degli Esteri, e non ricordo più di quante altre cose, tante ne ha compiute e ne ha dette nei suoi sessant'anni di vita da poco compiuti. Ma peggio ancora delle opposizioni, esce a pezzi dall'assalto alla vita privata del presidente del Consiglio quello che una volta si chiamava il giornalismo d'inchiesta. Che i giovani forse non ricordano ma c'è stato in Italia: un giornalismo che faceva addirittura concorrenza alle Procure, e riusciva qualche volta anche a precederle. Un giornalismo fatto di cronisti che non aspettavano la soffiata del magistrato compiacente o interessato, ma scavavano per conto loro, e portavano ai loro giornali, ai loro direttori, ai loro lettori notizie, non chiacchiere e voci. Il giornalismo d'inchiesta dei più o meno grandi quotidiani nazionali è ormai ridotto solo a pescare nel torbido, a guardare dal buco della serratura di una camera da letto o di un cesso. Insegue testimoni d'accatto, senza neppure verificarne prima la credibilità consultando, per esempio, le loro fedine penali. E se c'è qualcuno che lo fa notare e protesta, viene sottoposto da improvvisati maestri ad assurde lezioni di professionalità, indipendenza, autonomia e quant'altro. È accaduto la settimana scorsa al direttore di Panorama Maurizio Belpietro, che il segretario del Pd Dario Franceschini nel salotto televisivo di Ballarò ha cercato di zittire dandogli del «dipendente del presidente del Consiglio», visto che il suo settimanale appartiene alla Mondadori, di proprietà della famiglia Berlusconi. Accanto a Franceschini, e da lui sostenuto nell'attacco ai presunti vizi privati del capo del governo, sedeva sfrontatamente silenzioso e soddisfatto il direttore di Repubblica Ezio Mauro. Del quale il segretario del Pd fingeva altrettanto sfrontatamente di ignorare la «dipendenza» da un editore che ha un nome e cognome non meno pesanti, editorialmente, dell'odiato Silvio Berlusconi. Si tratta di Carlo De Benedetti, non solo concorrente ma anche, o soprattutto, avversario politico dichiarato del presidente del Consiglio: tanto da avere prenotato pubblicamente, in una intervista, «la tessera numero due» dell'allora costituendo Partito Democratico. La tessera numero uno non si capiva bene se la lasciasse a Romano Prodi, in quel momento presidente del Consiglio, o a Walter Veltroni, lasciato salire sulla rampa di lancio della segreteria del Pd da un apparentemente fiducioso, o rassegnato, D'Alema. Il presunto giornalismo italiano d'inchiesta è arrivato ad assaltare il presidente del Consiglio brandendo, pensate un po', la delusione di una moglie avviata al divorzio e già presa forse da altri affetti, se sono veri quelli che le sono stati attribuiti nello stretto ambito domestico da clamorose rivelazioni. Attorno alle quali le opposizioni hanno avvertito, questa volta, l'opportunità di stendere una rispettosa cortina di riservatezza, se non di reticenza. L'ultimo trofeo di questo presunto giornalismo italiano d'inchiesta è la foto di Berlusconi che esce da un velivolo di Stato appena atterrato ad Olbia con il suo amico Apicella. Al quale egli ha insomma offerto un passaggio, privo di qualsiasi costo per le casse pubbliche, anche se le opposizioni fingono di non saperlo e gridano al «peculato», tentando l'ennesimo assalto alla diligenza del presidente del Consiglio sulla soglia dei seggi elettorali.

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