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E ora riduciamo gli onorevoli

Claudio Barbaro (Foto Pizzi)

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{{IMG_SX}}La nostra beneamata Casta è insaziabile. Non le basta quel finanziamento pubblico bocciato per via referendaria e ripristinato con altra dizione. Non le bastano le generose provvidenze che i due rami del Parlamento concedono ai gruppi parlamentari. No, deve anche sistemare i suoi fedelissimi. Ecco perché l'istituto della Provincia, salvo improbabili ripensamenti, non sarà mai abolito. Eppure Ugo La Malfa, quando all'inizio degli anni Sessanta furono istituite le regioni a statuto ordinario, disse che le Province non avevano più ragion d'essere. È passato mezzo secolo e tutto è rimasto come prima. La verità è che i nostri eroi (si fa per dire) talvolta predicano perfino bene, ma poi razzolano male come un qualsiasi padre Zappata. Prendiamo il caso del numero dei parlamentari. Il testo originario della Costituzione contemplava un deputato ogni ottantamila abitanti o frazione superiore a quarantamila, e un senatore ogni duecentomila abitanti o frazione superiore a centomila. Ma nel 1963 è intervenuta una modifica costituzionale. Il numero variabile è stato sostituito da un numero fisso: 630 deputati e 315 senatori elettivi, più gli ex presidenti della Repubblica e i senatori a vita nominati dal Quirinale. Siamo arrivati, insomma, alla carica dei mille o giù di lì. Sono troppi i nostri parlamentari? Una comparazione con gli altri Paesi europei ci porta alla conclusione che il loro numero nel nostro Belpaese, di per sé, non sarebbe uno scandalo. Dopo tutto nella culla del parlamentarismo, in Gran Bretagna, i componenti della Camera dei comuni sono 646 e i lord ben 738. In Francia i deputati sono 577 e i senatori 343. Nella Repubblica federale tedesca i deputati sono 612 e i membri del Bundesrat appena 69. E così via. Fatto sta che altrove i parlamentari sono per lo più eletti, mentre da noi sono di fatto nominati dai mandarini della partitocrazia. Tempo fa Silvio Berlusconi ha scandalizzato con una delle sue proverbiali provocazioni. Ha constatato che i nostri parlamentari votano a comando. Votano sì se il capogruppo mette il pollice all'insù. Votano no se il capogruppo mette il pollice all'ingiù. E si astengono se il capogruppo mette la mano in posizione orizzontale. Ma allora tanto varrebbe - ha osservato il presidente del Consiglio - lasciare nella disponibilità dei capigruppo il voto ponderato. Apriti cielo. Il solito Franceschini, mandato avanti dai suoi perché a loro scappa da ridere, ha tuonato che la democrazia ormai è in pericolo. Ma poi il malvissuto segretario pro tempore del pro tempore Pd ha scoperto l'ombrello. Ha scoperto che una proposta identica era stata avanzata negli anni Venti niente meno che da Hans Kelsen. Cioè da un campione della socialdemocrazia. E così è stato costretto a fare una precipitosa marcia indietro. Adesso Berlusconi torna sull'argomento con una proposta che è stata variamente commentata. Ma una premessa è d'obbligo. Di una riduzione del numero dei parlamentari si parla da gran tempo. Il centrodestra, per il vero, con la sua Grande Riforma era riuscita nell'impresa. Sia pure dilazionandola nel tempo perché altrimenti mai e poi mai i rappresentanti del popolo l'avrebbero approvata. Difatti, da che mondo è mondo, non si è mai dato il caso di tacchini che reclamano l'anticipo del Natale, quando finiranno regolarmente in pentola. Ma il centrosinistra tanto ha detto e tanto ha fatto che è riuscita, quando si dice il genio, a colare a picco per via referendaria la predetta riduzione assieme all'intera Grande Riforma. Nella passata legislatura la questione è stata rimessa all'ordine del giorno. Parole tante, fatti nessuno. E adesso siamo punto e daccapo. Come uscirne? La ricetta del Cavaliere è presto detta. Non recita forse l'articolo 1 della nostra Legge fondamentale che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione? Orbene, tra le predette forme c'è anche l'iniziativa popolare delle leggi. E allora sia direttamente il popolo a esercitare un'iniziativa legislativa ad hoc. Nella fattispecie basterebbe un solo articolo che perlomeno dimezzasse il numero dei parlamentari. Sarebbe di sicuro sottoscritto a furor di popolo. Certo, ha ragione il presidente della Camera Gianfranco Fini quando osserva che dovranno essere i due rami del Parlamento, secondo le procedure previste dall'articolo 138 della Costituzione, a dare disco verde. Ma non potranno dire di no. Perché i partiti, almeno a parole, sono di questo avviso: hic Rhodus, hic salta. E perché, in democrazia, la voce del popolo è la voce di Dio.

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