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Parla Mentana: "Con Confalonieri ferita rimarginata"

Enrico Mentana

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«Se un quotidiano, in un ipotetico specchietto, mi elencasse tra i giornalisti antiberlusconiani, non lo accetterei e chiederei subito una rettifica. Ve lo voglio dire con molta chiarezza. Io con Berlusconi avrò parlato 20 volte in 15 anni. Lo sanno tutti che con lui non avevo rapporti: era salutare per tutti che si mantenesse una distinzione chiara». Enrico Mentana, ospite ieri a palazzo Wedekind, sede del nostro quotidiano, vuole essere chiaro «Berlusconi non è l'iniziatore del mio allontanamento da Matrix» e lancia un appello, come riporta il retro di copertina del suo ultimo libro Passionaccia: «Che si parli della stagione di Tangentopoli o del dramma di un sequestro, di una testata giornalistica o di una "discesa in campo", c'è sempre un insegnamento per la libertà di informare e per il dovere civile di tutti» "Discesa in campo", libertà di informazione, è una coincidenza oppure in Passionaccia lei si vuole togliere qualche soddisfazione nei confronti del premier? «No, non è vero. La cosa divertente di questo libro è che date le anticipazioni tutti pensavano che fosse una resa dei conti con Berlusconi. Invece è tutt'altro. Sfogliandolo si capisce che racconto la mia passione per il giornalismo prima in Rai e poi Mediaset. Un libro scritto con l'animo sgombro e libero da ogni altra passione che non fosse proprio il giornalismo. Poi vi dico anche questo per togliere ogni dubbio: a Mediaset ho sempre lavorato come se Berlusconi non avesse nulla a che fare con il mio gruppo editoriale. E vorrei che anche il gruppo faccesse lo stesso nel prendere una decisione nei miei confronti, indipendentemente dall'ala protettrice di Berlusconi». Ha qualche rimorso? «Non è un rimorso, però mi è dispiaciuto che i dirigenti di Mediaset non mi abbiano mai più chiamato». Si riferisce anche a Confalonieri? «Fino a qualche giorno fa avrei risposto di sì, però, quando ha ricevuto il libro che gli ho fatto avere, mi ha chiamato. Un gesto che ha in qualche modo rimarginato una ferita. Purtroppo per tutto il resto siamo in causa». Lei ha iniziato a fare il giornalista nel 1980. Cosa è cambiato da allora? «Oggi troviamo sui giornali e in televisione cose che anni fa non si sarebbero mai viste. In questo momento la parola d'ordine è risparmiare e ingraziarsi la proprietà. Il giornalismo purtroppo ora è sotto scacco e tutti sperano che, passata la buriana, tutto torni come un tempo».  Ma si tornerà mai all'età dell'oro? «Il giornalismo ci tornerà se, al posto delle marchette, faremo altro. In Italia abbiamo superato l'esame di maturità negli anni di Tangentopoli quando si riusciva a dare verità all'informazione pur parlando del proprio proprietario o del proprio politico di rifermento. In quegli anni c'era la vera libertà dalla suddistanza dei politici. Poi è successa una cosa catastrofica per il giornalismo: è morta la politica e soprattutto è venuta a mancare, senza neppure un necrologio, la sinistra. Così, oggi che l'opposizione è crollata perdendo addirittura l'anima, tutti sono andati in crisi perché ora chi governa non ha un contraltare». Proprio nessuno? «Esatto, nessuno di quelli che dovrebbero contrapporsi lo sta facendo. L'unico che mette un po' di pepe è il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Così, nel teatrino della politica viene utilizzato come alternativa al premier. La sinistra ormai non ha più credibilità. Se Franceschini o Di Pietro attaccano un qualsiasi provvedimento del governo definendolo una fregnaccia la loro sortita viene letta come un riflesso incondizionato. Se invece a dirlo è Fini allora le redazioni riempiono pagine e pagine dei giornali perché la stampa ha bisogno di confronto e spettacolarizzazione del contrasto. L'opposizione ha pesanti responsabilità su questo frangente. Si è persa in un momento per lei difficile e mettendo in difficoltà noi giornalisti»  È la fine della politica? «Non solo della politica, ma anche dei luoghi della politica. Il Parlamento è stato sconsacrato. Oggi nei passi perduti del Transatlantico si incontrano dei parlamentari senza arte né parte che sono lì a ingannare il tempo. Non è accettabile che il parlamentare che ha fatto più parlare di sé sia stato Cosimo Mele dell'Udc. Peccato che i meriti gli siano arrivati per prodezze in un'altra camera non in quella dei Deputati».  L'opposizione non fa il suo ruolo, ma tanto ad attaccare Berlusconi ci pensa la stampa. Non le sembrano esagerati gli attacchi alla vita privata del premier? «È stato Berlusconi a far irrompere il privato nel pubblico. Nessun politico italiano avrebbe mai fatto una campagna elettorale con un fascicolo intitolato Una storia italiana. In questo è stato geniale perché ha lanciato una ventata di aria fresca. L'uomo antipolitico che ha riempito le stanze vuote per la fuga della politica. Allo stesso modo però non c'è dubbio che in nessun Paese libero del mondo si può trovare ogni sera un programma che potenzialmente parli male del premier. Tutto questo però fa parte del berlusconismo, non dell'antiberlusconismo che invece è un suo parassita». Anche lei pensa che Berlusconi con le sue televisioni abbia rimbambito il Paese? «Non è vero. La tv, se rimbambisce, lo fa nei confronti di chi vuole farsi rimbambire. La tv non ha la forza di cambiare un Paese. Poi a dirla tutta i programmi con cui Berlusconi avrebbe rimbambito il Paese sono uguali a quelli di tanti altri paesi e non mi risulta che il mondo si sia rimbambito. Il problema comunque non è tv privata o pubblica, ma è la quantità di politica che la ingolfa».  Si riferisce alle nomine Rai? «Certo. Negli anni nessuno ha mai fatto qualcosa per districare la televisione dal nodo della politica, men che meno all'interno della Rai. Faccio un esempio: Augusto Minzolini, neodirettore del Tg1 potrà fare un telegiornale bellissimo ma comunque, per gli oppositori di Berlusconi, sarà comunque un tg piegato a Berlusconi. Questo perché è sempre successo che il Tg1 rispondesse al governo. Se la sinistra avesse varato la più elementare delle leggi, ovvero svincolando dalla politica la Rai, oggi Berlusconi non farebbe quello che è suo diritto fare dato che ricalca quanto è sempre accaduto. Minzolini quindi chinerà il capo? «Ho visto grandi giornalisti fallire come direttori e personaggi che facevano alzare più di un sopracciglio rivelarsi dei bravi direttori. Ora per Minzolini si aprono due strade: la prima fare un grande telegiornale, la seconda compiacere chi ha deciso la sua nomina. I più fortunati sanno fare entrambe le cose, i più pigri fanno solo la seconda. Valuteremo». Ma oltre alla politica ci sono altri poteri che condizionano il giornalismo? «Vi siete mai domandati perché le banche siano diventate azioniste delle case editrici? Hanno investito per garantirsi la riservatezza e infatti un racconto vero sui poteri di questo Paese sui giornali non l'ho mai letto, e la battaglia sulle banche è stata vista dal buco della serratura delle intercettazioni. Tante cose nel nostro Paese non si trattano: si preferisce parlare del sorriso della Ravetto o delle incertezze della Madia. Funziona così. Puoi anche attaccare Berlusconi sul suo giornale e la scampi ma se ficchi il naso nelle questioni economico-imprenditoriali di sicuro non te la cavi con poco». Ha mai fatto errori giornalistici nella sua carriera?  «Ne ho fatti tantissimi. Uno però mi fa mordere ancora la coscienza nonostante per quella cosa avessi riscosso grande successo. Insieme a Costanzo avevamo organizzato una trasmissione con Rosy Bindi e Luigi Di Bella. Ho sempre pensato che aver dato spazio a quel signore e alla sua medicina alternativa per la cura del tumore poteva aver portato a dei guasti. Questa è la nostra "passionaccia". Per amore di giornalismo a quanta gente possiamo avere fatto male? Il secondo errore l'ho fatto per dare dimostrazione d'ostentata indipendenza: ero riuscito a non aprire il Tg5 con la presentazione del governo alle camere nel primo governo Berlusconi».   Dal passato al futuro. Come vanno gli accordi con Sky? «Non ho mai avuto nulla a che fare con Sky. Nessuno mi ha mai contattato. Poi francamente non saprei cosa fare a Sky e non credo che il mio futuro sia lì».  Dove allora? «Nel futuro non c'è l'imbarazzo della scelta. L'unica cosa che vorrei è continuare a lavorare. Ma come un calciatore infortunato, devo aspettare che ci siano le condizioni ottimali per tornare in campo».

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