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«Per far risorgere la sinistra ci vorrebbe un vero e proprio "Big Bang" che azzeri tutto e ne permetta una ricomposizione».

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PresidenteBertinotti, il 1 maggio 2006 lei veniva osannato a Torino. Appena due anni dopo invece gli elettori italiani hanno bocciato la sinistra italiana. Che cosa si è rotto in così poco tempo? «Ricordo quell'entusiasmo. Era la mia prima uscita da presidente della Camera. Quel giorno c'era un clima di festa e molti di quei lavoratori che affollavano la piazza vedevano in me uno di loro. C'era la speranza di rinnovamento. La sinistra aveva sconfitto Berlusconi e le sue politiche fallimentari e la legge del pendolo aveva ridato una speranza alla sinistra. Lì si sperava in un cambiamento, anzi quasi in un risarcimento». Poi che è successo? «Il governo Prodi non è stato in grado di dare seguito alla richiesta di risarcimento e il suo fallimento è stato come un poderoso acceleratore di una lunga crisi strisciante. Ma intendiamoci, è stato l'elemento scatenante, non la ragione della crisi». Quindi c'erano strascichi antecedenti alla caduta del governo? «Tre sono le cause della crisi e trovano fondamento a livello europeo. Il primo motivo è la sconfitta di quel ciclo politico che inizia nel 1917 e si conclude con la primavera di Praga quando l'avvento del capitalismo disegnò un modello alternativo di società. Il secondo riguarda il ciclo medio che coincide con il tempo della globalizzazione. Una grande rivoluzione capitalista restauratrice che sconfisse il movimento operaio si trovò nella condizione o di soccombere o di farsi integrare». E che scelta venne presa? «Si divise in due: da una parte la maggioranza accettò di governare questo paradigma, dall'altra la sinistra alternativa, che aveva ben capito il pericolo, non riuscì trovare la massa critica per evitare che si rodessero le fondamenta culturali che le avrebbero evitato la solitudine». Manca però un motivo della crisi. «È quello del fallimento del governo di centrosinistra. Per la seconda volta c'era la possibilità di governare e per la seconda volta abbiamo fallito. E, non solo abbiamo perso questa opportunità, ma in Italia è successo anche che, da due sinistre, oggi non abbiamo più nemmeno una. Il nostro impegno ora deve essere quello di ricostruire una sinistra». Una sola? «È più che sufficiente perché al suo interno avrebbe tutte le potenzialità per essere alternativa a Berlusconi e riuscirebbe anche a gettare le basi per costringere a ridefinire la pagina delle alleanze». Ritiene quindi che questo sconvolgerebbe anche gli attuali assetti del centrosinistra? «Io dico sinceramente che tutte le organizzazioni politiche oggi presenti a sinistra mi sembrano provvisorie e non definitive. Non credo che questo panorama politico non debba durare a lungo, anzi, non è neanche bene che si possa pensare questo». Passando al centrodestra e al governo, non le sembra che questa crisi più che nuocere al governo lo stia rinforzando? «Questo è un grande paradosso. Pensi che i problemi che fecero cadere il governo Prodi non sono ancora stati risolti eppure...». A cosa si riferisce? «Bassi salari, basse pensioni e stipendi inadeguati. Allora Berlusconi cavalcò la questione in modo dirompente. Penso ad esempio alla polemica sulla terza settimana. Oggi la cosa non è cambiata. Andate a vedere i dati dell'Ocse che ci dà con le retribuzioni più basse d'Europa e del mondo. Oppure mi vengono in mente la denuncia della precarietà e il tema dell'Immigrazione. La nostra colpa è di aver fatto un errore previsionale. Non avevo visto a sufficienza il grado di logoramento a cui era già giunto il tessuto democratico del paese. Non avevano colto che quel sistema era rimasto in piedi come un simulacro ma la sua struttura funzionante era stata largamente manomessa». Nonostante questi problemi, che a suo dire non sono stati risolti, perché Berlusconi aumenta i consensi? «Perché in un momento in cui la sinistra dovrebbe avere la parola invece risulta muta e non perché non le è concessa la possibilità di parlare ma perché non esiste proprio. L'evoluzione conservatrice che dilaga in Italia e più in generale in Europa, ha contribuito in modo poderoso a mettere in evidenza la sconfitta della sinistra. E se si crea uno spazio libero c'è sempre qualcuno pronto a riempirlo». A chi si riferisce? «Al populismo. Il disagio si produce nella crisi molto forte. Se manca una dialettica tra destra e sinistra se ne crea una tra l'alto e il basso della società. Così la crisi della sinistra ha aperto un varco al populismo come unica calamita politica del Paese. E il governo, grazie al populismo, governa la crisi senza intervenire sulle cause che l'hanno prodotta». Il sindacato in questo frangente che ruolo ha? «Deve percorrere la sua strada misurandosi sulla dinamica salariale cercando di ritrovare l'unità di un tempo. Infine dovrebbe puntare ad evitare le crisi di democrazia al suo interno dato che sigla accordi sia per gli iscritti sia per i non iscritti». E del suo successore a palazzo Montecitorio che cosa ne pensa? «Fini mi sembra che si stia muovendo nel solco della tradizione impostata dai suo predecessori. Anche lui infatti ritiene fondamentale la valorizzazione delle istituzioni. Un atteggiamento che non può essere privo di conseguenze sui contenuti programmatici dell'agire politico perché l'anima che muove queste istituzioni coincide con la costituzione repubblicana. È impossibile che Fini difenda, ad esempio, politiche discriminatorie. Perché queste non sono contemplate dalla Carta». Sta pensando alla politica del governo sull'immigrazione? «Certamente. Il mondo cambia e anche noi dobbiamo aprirci ed accogliere chi vende tutto ciò che ha per poter arrivare in Italia. Questi ingressi generalmente non destabilizzano il governo a patto che questo attui politiche in grado di gestirlo». Politiche che però il governo sta attuando «Le dico solo che i dati riportano che tra gli immigrati che entrano in Italia solo due su dieci arrivano dal mare. Tutti gli altri otto vengono da est».

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