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Clandestini, 3 anni fa Fini voleva l'arresto e Bossi frenava

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Una foto d'archivio di Umberto Bossi e Gianfranco Fini

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È difficile crederci. Ma ci sono stati anni in cui su un tema scottante e delicato come il contrasto all'immigrazione clandestina Gianfranco Fini e Umberto Bossi avevano ruoli e convinzioni esattamente opposte. Di più, vestivano perfettamente i panni l'uno dell'altro. L'attuale presidente della Camera — che con il suo nuovo profilo da uomo al di sopra delle parti è stato più volte dipinto come il «vero leader della sinistra» — quando era a capo di Alleanza Nazionale incarnava invece alla perfezione l'uomo duro della destra, quello che chiedeva — e proponeva — di usare le maniere forti contro gli stranieri irregolari. A tal punto che nel 2000 aveva presentato una proposta di legge che introduceva il reato di immigrazione clandestina che prevedeva l'arresto. Mentre oggi il ddl sicurezza approvato alla Camera lo punisce solo con un'ammenda.  Umberto Bossi — che ora spinge sul tasto dell'intransigenza su tutto quello che riguarda il tema della sicurezza, anche perché in campagna elettorale per le europee non vuole farsi scippare questo argomento da Berlusconi — vestiva invece i panni del moderato, del leader contrario alla mano dura sul reato di clandestinità. Il 14 dicembre del 2000 Fini, partecipando a un comizio all'Esquilino a Roma, uno dei quartieri più popolati da immigrati e dove la tensione tra romani e stranieri è più alta, spiegò alla folla plaudente che bisognava cambiare la legge Turco-Napolitano sull'immigrazione, introducendo provvedimenti che «garantiscano severità, rispetto della legalità, tempi più brevi nelle espulsioni, effettiva integrazione di chi rispetti le nostre regole, duro contrasto ai neoschiavisti». Insomma quello che sta facendo oggi il governo italiano riconducendo nei porti di partenza i migranti clandestini. Di quella posizione Gianfranco Fini è rimasto convinto fino a un anno fa. Il 4 giugno del 2008, infatti, illustrava così il suo pensiero: non ci può essere «incostituzionalità» tra l'eventuale introduzione del reato di immigrazione clandestina e «gli articoli della Costituzione che prevedono il dovere dello Stato italiano di rispettare i diritti dell'uomo». Poi, da presidente della Camera, Fini ha iniziato qualche timoroso distinguo, ha seminato dubbi, avanzato obiezioni. «I rimpatri sono legittimi ma il diritto d'asilo va garantito», ha spiegato un paio di giorni fa. Ha proseguito ammonendo la Lega ad «evitare eccessi propagandistici» su una questione così delicata. E l'11 maggio, in visita ufficiale ad Algeri, ha ribadito che «il tema della sicurezza e della legalità è essenziale. Ma, per garantire una vera sicurezza ed una vera legalità, bisogna guardare un po' oltre rispetto al contingente, in un'ottica non solo italiana ma europea». Umberto Bossi gli ha replicato scherzosamente, con un «se non la fai sotto elezioni la propaganda, quando la fai?». Concludendo però poi con un più serio: «Chi la dura, la vince». Il leader della Lega nel 2001 si trovava invece dall'altra parte della barricata, costretto addirittura a far da pompiere sull'idea di Fini di arrestare i clandestini. «Per me è un errore introdurre il reato di immigrazione clandestina — spiegò in un'intervista davanti alle telecamere di Telepadania il 17 luglio del 2001 — significa tenere qui dieci anni i clandestini e riempire le carceri che già scoppiano. Deve essere, invece, un reato amministrativo perché così si espellono subito». Il tempo ha dato ragione a lui.

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