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Fiat, il governo detta le condizioni

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Il governo avvia un'azione preventiva nei confronti della Fiat di Sergio Marchionne impegnato nella costruzione del maxi polo dell'auto con Chrysler, Opel e parte delle attività di General Motors. Dopo le lodi bipartisan per l'audacia del manager italiano ai piani alti del ministero competente, quello dello Sviluppo Economico, hanno cominciato a valutare il possibile impatto sul tessuto industriale italiano della fusione. Così il ministro Scajola ha preso carta e penna e si è rivolto oltre che a Marchionne anche al presidente Luca Cordero di Montezemolo mettendo subito in chiaro che «le fabbriche italiane devono essere centrali». Nessuna frizione o ripensamento da parte dell'esecutivo, spiegano a Il Tempo fonti vicine a dossier. Ma piuttosto il combinato disposto di più fattori. In primo piano le indiscrezioni della stampa tedesca che continuano da giorni a parlare della possibile chiusura di due stabilimenti italiani. E già smentite dal Lingotto. Eppure sull'insistenza e la ripetizione si sono già messi in difesa in Italia i sindacati, tutti, questa volta senza fratture e pronti a mettersi di traverso contro qualunque rischio di perdita di posti di lavoro. Specie in un momento di forte contrazione economica come quello attuale. L'uscita di Scajola, però, trova la sua ratio anche nel decreto che ha erogato gli incentivi fiscali per la rottamazione delle vecchie auto. Nel testo, infatti, la concessione degli stimoli all'acquisto è condizionata a un continuo monitoraggio da parte del ministero della situazione occupazionale nel settore. Insomma è stato quasi un dovere, ieri, per Scajola ricordare quanto la più grande azienda italiana del settore ha assicurato in termini di stabilità occupazionale nei suoi impianti. Un atto quasi dovuto insomma per rasserenare le acque attorno al lavoro del Lingotto e per spezzare una lancia a favore dei sindacati non certo sereni. In realtà i timori di un'azione di ristrutturazione selvaggia non sarebbe stata nemmeno presa in considerazione da Scajola e i suoi collaboratori. Un po' per la storia personale di Marchionne più uomo di prodotto che tagliatore di teste in grandi quantità. Un po' perché nel piano che l'ad del gruppo torinese porta con se in questi giorni e che presenta a manager e politici delle aziende e dei paesi coinvolti non c'è traccia di chiusure radicali e traumatiche ma solo di ridimensionamenti e di cambio di produzione per le piattaforme di Termini Imerese in provincia di Palermo. A rasserenare gli animi anche l'Economist che in un articolo oggi in edicola spiega che nell'operazione con Opel, l'amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne, intende, «col tempo, ridurre la capacità combinata del 22%, ma dice che lo farà snellendo le fabbriche piuttosto che chiudendole». «È, dice Marchionne, la strada preferita in Europa - ma significherà rinunciare a risparmi per circa 250 milioni l'anno», scrive il settimanale britannico. «Nonostante ciò - prosegue l'Economist - unire Opel e Fiat potrebbe far risparmiare almeno 1 miliardo l'anno».

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