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Pdl-Lega, tira aria di crisi

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Roberto Maroni

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Roberto Maroni sta in piedi. Fermo. Immobile sull'uscio dell'aula della Camera. Chiacchiera con i giornalisti e quando l'argomento scivola velocemente verso la questione del giorno, il referendum, la voce del ministro dell'Interno si fa via via più dura. Certo, Maroni sta ben attento a inserire avverbi nel suo ragionamento, a smussare i toni, anche se il punto resta fermo. E la sostanza chiara: è comprensibile che Berlusconi, il quale ha detto che voterà sì al referendum elettorale, tenga quella posizione. Ma, e qui sta l'avvertimento dell'esponente leghista, dopo si faranno i conti. Se il quesito passasse, sono precisamente le sue parole, «sarebbe inevitabile trarne le conseguenze». Il Carroccio poi punta a blandire il Pd facendolo tornare sulla decisione di appoggiare il sì. A preoccupare i Democrats, invece, è più l'affermazione del premier che la Costituzione possa essere cambiata a colpi di maggioranza: «Berlusconi comincia a diventare un problema serio per il Paese», dice Dario Franceschini. Il segretario del Pd sottolinea l'aspetto contraddittorio della posizione del premier sul referendum: «È surreale che Berlusconi voti sì per abrogare una legge che ha fatto lui pur avendo i numeri in Parlamento per correggerla». E poi il sì ai quesiti annunciato dal Cavaliere, «umilia la Lega». Ma il ragionamento di Franceschini non convince il Carroccio, e Maroni sottolinea invece la contraddittorietà per il Pd di sostenere un referendum che «consegna tutto il potere a un solo partito», cioè quello di Berlusconi, e «cancella gli altri». Insomma, il Pd «è masochista» e dovrebbe rivedere la propria posizione. Poi il ministro leghista butta lì una frase sibillina: «Se il referendum portasse a una nuova legge elettorale, sarebbe inevitabile trarne le conseguenze». La Lega minaccia forse di far cadere il governo e andar al voto? Maroni nega, anche perchè sarebbe un'arma spuntata visto che il ricorso alle urne con la legge uscita dal referendum sarebbe lo scenario desiderato dal Cavaliere. Ma certo ci sono le giunte delle Regioni del Nord, dove si voterà l'anno prossimo. Con un'altra frase sibillina Maroni fa intendere al Pd, piuttosto, che ci potrebbe essere un dialogo sulla riforma elettorale in Parlamento: «Dico che se passa il referendum - ha osservato - sarebbe difficile fare dopo la riforma elettorale. Quindi, bisogna evitare che avvenga il danno perché, se poi avviene, tanti saluti...». E il Pd, nel cassetto ha già la proposta di riesumare il "mattarellum", cioè il precedente sistema con i collegi uninominali, l'optimum anche per il partito di Umberto Bossi. Il quale ora tace incassando il sì del Senato al suo federalismo fiscale, dopo un proficuo confronto più con il Pd che con lo stesso Pdl. Il sì di Berlusconi è salutato positivamente dai promotori del referendum, da Mario Segni a Giovanni Guzzetta, passando per Arturo Parisi, che pure lo considera solo «tattico». Mentre il sì di Franceschini è stigmatizzato da Paolo Ferrero (Prc) e da Pier Ferdinando Casini: «Stanno costruendo un'autostrada, lastricandola a favore di Berlusconi», dice il leader dell'Udc. Ma le intenzioni di Franceschini non sono queste. Anzi il segretario del Pd attacca l'affermazione del premier secondo il quale la Costituzione si può cambiare «senza il concorso dell'opposizione»: «Quando un uomo politico si ritiene tanto potente da poter fare tutto, perde i freni e comincia a diventare un problema serio». «Le regole vanno cambiate insieme», conclude il leader del Pd, e «se Berlusconi sceglierà ancora una volta la modifica a maggioranza andrà a sbattere contro un muro, perchè nel referendum confermativo gli italiani gli diranno di no per la seconda volta» come per la devolution.

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