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Piazzale Loreto, se la memoria non è condivisa

29 aprile 1945. A Milano, all'angolo tra piazzale Loreto e corso Buenos Aires vennero appesi ad una trave di un distributore di benzina i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e altri esponen

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Chi è nato quel giorno oggi sta per andare in pensione. O ci è già andato. Sessantaquattro anni sono passati dal 29 aprile 1945. Ma, evidentemente, sono passati invano. D'altra parte nel Belpaese si riesce ancora a far polemica (il nostro vero sport nazionale, altro che calcio) sulla liberazione d'Italia dai Borboni e sulle piazze intitolate a Garibaldi, figuriamoci se l'argomento del contendere risale ad appena sei decenni orsono. Ecco allora che sul 25 aprile e su piazzale Loreto si discute ancora con veemenza, come se parlassimo del bipolarismo o del referendum elettorale. E i protagonisti della puntuale bagarre rievocativa non sono soltanto vecchi partigiani o superstiti repubblichini con i capelli bianchi e l'osteoporosi. No, anche le giovani generazioni usano la memoria antifascista come arma politica, di distinzione o, come si dice ora, di riconoscimento identitario. Lo facevano negli Anni Settanta, urlando slogan truci come «Dieci, cento, mille piazzali Loreto». Lo fanno oggi, «impiccando» a testa in giù l'europarlamentare leghista Mario Borghezio davanti alla sede torinese del Carroccio. Oppure usano quell'immagine universalmente emblematica come hanno fatto i «guerriglieri urbani» greci di Lotta Rivoluzionaria, che hanno minacciato i politici al potere avvertendoli che «quando il popolo prenderà finalmente il destino nelle sue mani», finiranno giustiziati e «appesi a testa in giù» nel centro di Atene. Eppure lo stesso Ferruccio Parri, all'epoca capo del Cnl, parlò di «macelleria messicana». Eppure anche un (ex) comunista come Massimo D'Alema, nel libro di Bruno Vespa «Vincitori e Vinti», dichiarò: «L'uccisione di Mussolini fa parte di quegli episodi che possono accadere nella ferocia della guerra civile ma che non possiamo considerare accettabili». E, sempre nel 2005, il lìder Maximo osservò: «Un processo sarebbe stato più giusto. Al di là dell'accertamento delle responsabilità individuali, infatti, un processo al Duce, come quello di Norimberga, avrebbe anche consentito di ricostruire un pezzo della storia italiana». Ma Fassino, all'epoca segretario dei Ds, ribadì la sua opposizione a ogni forma di «revisionismo storico». Dall'altra sponda dell'emiciclo parlamentare, l'allora deputato di An Francesco Storace chiese alla sinistra «di fare autocritica, di esprimere un po' di sdegno per la barbarie che avvenne in Italia, a Milano, a piazzale Loreto», aggiungendo che «non si è nostalgici ma persone civili se si chiede questo». E alla destra rivolse un accorato appello: «Dovrebbe alzare l'indice accusatore e dire: "sessant'anni dopo pentitevi se siete davvero contro la pena di morte». La stessa nipote del Duce (che nell'intervista qui a fianco ribadisce la sua posizione), nel luglio del 2007 invità il presidente della Repubblica ad affermare che piazzale Loreto fu una vergogna. Dal Quirinale, a quanto ci risulta, non giunse alcuna risposta. La questione, che arrovella intellettuali e politici, portò anche alla proposta, nell'agosto di quattro anni fa, di cambiare il nome della storica piazza in «Concordia». L'exploit dell'assessore alla cultura Stefano Zecchi venne rispedito al mittente dai familiari delle vittime dei caduti del piazzale: «È il segno che si vuole rimuovere un momento fondante della nostra storia», replicò indignato il presidente dell'associazione Sergio Fogagnolo. Iniziative ed episodi che rivelano quanto gli italiani abbiano metabolizzato poco il Ventennio e il suo tragico epilogo, di quanto sia mancata, almeno finora, la riflessione e la discussione pubblica sugli anni che seguirono la Liberazione e sulle violenze di alcune bande partigiane nel cosiddetto «triangolo rosso» e non solo. Tanto è vero che ancora oggi un giornalista senza pregiudizi come Giampaolo Pansa viene considerato a sinistra un eretico per aver scritto ripetutamente di quelle stragi, delle esecuzioni sommarie e della violenza che avvelenò il dopoguerra. E che che ancora oggi non ha trovato il suo antidoto. Ma il fervore di anziani protagonisti, la strumentalizzazione ideologica di destra e di sinistra e l'uso indiscriminato di fatti storici da parte delle giovani generazioni alla ricerca di punti di riferimento non può nascondere il caratteree decisamente obsoleto di ogni polemica sull'argomento. È giusto ricordare, e soprattutto non dimenticare per scongiurare il pericolo di ripetere gli errori del passato, ma all'inizio del secondo millennio, nella società elettronica e della teledemocrazia i problemi sono altri e queste contrapposizioni sono attuali quanto le guerre puniche. Per la gente comune il 29 aprile del '45 è una giornata di rabbia archiviata nel mare dei lutti di guerra e di odio politico di quell'epoca. Un esempio? Quando, nel febbraio 2007, E-Bay mise in vendita due foto di Mussolini nel famoso piazzale, l'asta si chiuse senza acquirenti dopo ben venti giorni di offerta. Quelle immagini non interessavano nessuno. Come le polemiche che esplodono ogni primavera.

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