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Sfollati sui monti

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dall'inviatoMaurizio Gallo LUCOLI (L'AQUILA) Tutto è più forte, più intenso e più duro in montagna. Il sole, il vento, il freddo. E gli uomini. E gli uomini di Lucoli, un comune che comprende 18 frazioni per un totale di oltre mille abitanti distribuiti in località che si trovano fra i 900 e i 1500 metri di altitudine, confermano la regola. Come Ferdinando Scaramella, 43 anni, una moglie infermiera, tre figli e un forno a San Menna che la notte della grande scossa ha continuato a bruciare legna e a produrre pane. Qui la gente è abituata ad aiutarsi da sola. Per questo, anche se i primi soccorritori si sono inerpicati lungo i tornanti del monte solo martedì pomeriggio, lasciandoli soli per trentasei ore in compagnia della paura, del buio e del gelo, loro non fanno che chiederti di ringraziare questo e quello, dai vigili del fuoco alla protezione civile di Aosta, dai ristoratori di Avezzano che mercoledì gli hanno fatto portare 800 pizze a tutti gli altri, di cui non ricordano nemmeno i nomi, che li hanno riforniti di coperte, dentifrici, spazzolini, omogeneizzati, pannolini per i più piccoli e pannoloni per gli anziani. Per non parlare delle mille uova di Pasqua che gli sono arrivate domenica scorsa. «La notte del terremoto stavo lavorando al secondo forno e sul momento sono scappato, anche perché era saltata la corrente - racconta Ferdinando, i capelli già imbiancati come le vette qui intorno che d'inverno diventano meta degli sciatori, al primo giornalista che vede dal 6 aprile - Poi, il tempo di mettere in macchina Gabriele e Alessandro, che hanno otto e sei anni, di prendere il trattore con il gruppo elettrogeno a rimorchio, e sono tornato al lavoro con Marco, che di anni ne ha venti e gioca al Lucoli calcio. Ho fatto il pane, che ho regalato alla gente di San Menna e, visto che la mia era l'unica luce accesa in paese, tutti i 250 paesani si sono raccolti qui davanti. Qualcuno era in pigiama, altri in vestaglia, con le pantofole ai piedi. Tutti erano terrorizzati e stringevano i figli più piccoli in braccio, come per proteggerli. Se ho avuto paura che mi crollasse il forno addosso? Beh, la verifica l'hanno fatta solo ieri, ma io mica sono scemo: c'ho gli occhi per guardare e ho visto che il pericolo era relativo. E poi c'era bisogno del pane...». Accanto a Ferdinando c'è la moglie Natalina, che del sisma non dimenticherà mai più il rumore, quel rombo sordo «che sembrava un martello poneumatico in crescendo», spiega. Natalina fa l'infermiera a L'Aquila. Ma in questi giorni assiste gli sfollati d'alta quota: «Era come se il mondo stesse esplodendo - ricorda - Un suono che ti resta nelle orecchie e nelle ossa, un rombo che aumentava secondo dopo secondo e sembrava non finire mai». Il comune di Lucoli ha avuto la fortuna di non dover contare vittime fra i suoi cittadini. A parte una «indiretta»: un venticinquenne di Collimento che lunedì mattina ha trovato la morte in un incidente stradale mentre cercava di raggiungere in auto la madre a Casavecchia. Non ci sono stati nemmeno crolli, come nell'inferno di calcestruzzo e polvere di Onna, a Paganica, a San Gregorio, San Demetrio e L'Aquila. «Ma Il 60-70 per cento degli edifici sono danneggiati e inagibili, compresa l'abbazia di San Giovanni, che è del 1100 e non è mai stata danneggiata, neanche dal sisma che nel 1915 ha raso al suolo Avezzano», osserva il vicesindaco Valter Chiappini. Ora l'unico timore dei lucolani è che l'area non riceva adeguati aiuti economici per la ricostruzione, perché la guerra tra poveri è già cominciata e molti comuni lontani dall'epicentro e con danni non gravi si sono messi in lista. «La protezione civile ha definito la zona più colpita come "cratere rosso" e noi siamo nel cratere - continua Chiappini - Bisogna partire dall'epicentro, rispettare le graduatorie delle località più danneggiate ed evitare che la ricostruzione diventi una questione politica. Perché è chiaro che un comune con più abitanti può garantire più voti. Finora, a leggere i giornali, noi siamo stati totalmente ignorati - conclude il vicesindaco - mentre sono stati citati posti come Amatrice, nel reatino». Gli fa eco il primo cittadino Luciano Giannone, reduce da un incontro con il capo della Protezione Civile: «Se la macchina della ricostruzione funziona come i soccorsi, allora saremo soddisfatti - dice - Molti sindaci marsicani vogliono essere inseriti nei Centri operativi misti per ottenere i finanziamenti. Ma Bertolaso ci ha assicurato che la maggiore attenzione sarà per i comuni più colpiti, dove la gente è costretta fuori casa». Anche i «protettori civili» aostani, lodati più degli altri dai lucolani, assicurano la loro collaborazione nella «fase preliminare due», il passaggio dalle tende alle case provvisorie di legno. «Certo il tentativo di ottenere vantaggi non realmente necessari ci può essere e il dipartimento deve fare da filtro - consiglia Primo Ruggeri, responsabile del campo di San Menna - La tendopoli è gestibile fino al 30 giugno. Non oltre. Noi, comunque, avuto l'ok dal sindaco, possiamo partire. E tirar su un villaggio prefabbricato in legno per 400 persone in tre mesi». Efficienza, pragmatismo, determinazione. Sarà anche effetto della solidarietà fra «montanari»?

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