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Lacrime e rabbia alla prima Messa nella tendopoli

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L'altare è un tavolo coperto da un lenzuolo. Sulla parete di tela del grosso tendone bianco campeggia una croce composta da due rami d'albero legati assieme con il filo di ferro. E le panche per i fedeli sono le stesse che gli sfollati di Paganica da tre giorni usano per mangiare, perché la chiesa improvvisata è stata allestita nella mensa d'emergenza della tendopoli. Gli arredi sacri, invece, li ha recuperati un ragazzo autorizzato per l'occasione ad entrare nella parrocchia di Santa Maria Assunta, considerata inagibile con altre quattro chiese della zona. Nel campo che sorge dove il sisma è nato per lanciare il suo messaggio di morte lungo chilometri e chilometri di terra d'Abruzzo è la prima messa dopo la tragedia. La gente è commossa. Sentiva bisogno di un momento di raccoglimento, di un rito per esorcizzare il dolore e lo shock, di un modo per ricordare i cari perduti per sempre. Don Dionisio, il parroco colombiano, Don Rizziero, il più anziano, e Don Fabio, sacerdote della diocesi di Brescia giunto per fornire supporto spirituale ai sopravvissuti, si preparano. Accanto a loro tre ragazzi, Angelo, Lunella e Daniele, suonano e cantano. A fianco del rudimentale crocefisso orfano del Cristo un cartello invita a usare i cestini dopo il pasto e un altro avverte che a Paganica c'è una farmacia aperta. La cerimonia comincia. La musica parte, mentre in un angolo una donna sforna caffè con una piccola macchinetta espresso. Don Dionisio introduce pacatamente l'argomento che aleggia nell'aria: «Cerchiamo il conforto del Signore - dice - in quest'ora drammatica». Una signora vestita di rosso già piange. Una ragazza bionda legge un brano dal Libro dell'Esodo. Parla degli agnelli da sacrificare, del sangue con cui «segnare» le case dei cristiani perché in quella notte Dio passerà in Egitto e colpirà ogni primogenito, riparmiando solo le abitazioni sulle quali c'è il sangue degli animali immolati in suo nome. Ma è l'omelia di Don Fabio, il religioso bresciano venuto dal nord per confortare «i suoi amici della comunità di Paganica», che tocca i cuori e ne lascia più d'uno colmo di rabbia. Sono parole pesanti, le sue. «La mia unica speranza - esordisce - è riuscire a condividere con voi anche solo una briciola della fatica che state provando». Il prete con baffi e pizzetto nero esorta ad aiutare i più piccoli a capire che a volte la realtà può essere brutta, ma se ne può uscire solo insieme. «Non si deve scappare - aggiunge - "Questo mese per voi sarà l'inizio", dice Dio rivolto al popolo d'Israele. Anche per voi è l'inizio. Forse per ritrovarci dovevamo perdere tutto. Dio dice agli ebrei "questo giorno per voi sarà un memoriale"». E dobbiamo ricordare, sottolinea Don Fabio. «Anche nella vostra terra, credo, troppa gente ha dimenticato: chi doveva costruire bene le case, chi doveva verificare la loro sicurezza e rendere abitabile il territorio forse ha dimenticato - conclude - Fate in modo che quanto accaduto non venga scordato in nome del potere, del denaro, del guadagno e del disinteresse per il futuro del prossimo». Frasi che scuotono l'uditorio, già provato e commosso. Le lacrime scorrono sui volti di molti dei presenti. Gli occhi sono rossi come il sangue. Ma la celebrazione va avanti. Dopo un minuto di silenzio, spezzato solo dal pianto di un neonato, il prete sudamericano lava umilmente i piedi ai nove ragazzini seduti in prima fila. «Affidiamo al Signore i nostri cari strappati alla vita dal terremoto perché li accolga e dia loro eterno riposo e dia coraggio a chi setnte in modo profondo il distacco», recita Don Dionisio. Il coretto riprende a far musica. Nell'aria risuona il Padre Nostro. I fedeli si stringono le mani in segno di pace, le dita si serrano con speciale tenerezza, con inusuale affetto. È l'ora della comunione. La messa è finita. Ma la pace è ancora lontana.

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