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Nelle tende braccati dalle scosse

Tendopoli in Abruzzo

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Una parte ha dormito in macchina, a pochi passi da casa, o di quel che restava della propria abitazione. Un migliaio di loro sono riusciti a trovare posto nelle tende allestite sul campo sportivo della Polisportiva locale di Rugby, appena fuori dal centro storico. I volontari degli alpini e la Protezione civile hanno finito di montarle verso le due di notte. Anziani, donne e bambini hanno avuto la precedenza e alcuni sono riusciti a trovare riparo fin dalle undici della sera. Nella tendopoli, alle sette del mattino, uomini e donne erano già in fila davanti ai chioschi mobili per accaparrarsi un bicchiere di latte caldo. Ma i 2500 cornetti offerti da Il Tempo... mbé, quelli non se li aspettavano. Soprattutto i bambini. In tutto, nei diversi campi allestiti nell'hinterland aquilano, ne sono stati distribuiti 30mila, e non sono andati sprecati. In tutta l'aria, almeno fino a ieri, non c'erano negozi di alimentari aperti. L'unico cibo, l'unica acqua, è stata quella messa a disposizione dalla Protezione civile e dagli ex-Alpini. Ieri mattina all'alba è stata la terra a suonare la sveglia. Ha tremato alle sei e ha fatto di nuovo paura. Gli sfollati si sono preoccupati per le case rimaste in piedi. Quelle nuove, in cemento armato. Ma il sisma, più lieve, le ha risparmiate. Così come le ha risparmiate alle undici del mattino, quando per due secondi la terra ha sobbalzato di nuovo. Molti hanno chiesto alle forze dell'ordine di poter andare a casa per prendere le cose di valore. Ora gli sciacalli iniziano a far paura più del terremoto. Altri sfollati, dopo colazione, già pensavano alla notte successiva, a un modo per non dormire ancora in tenda, per lasciare il posto a chi ne ha più bisogno. Ieri mattina, sulla provinciale, si è iniziato a vedere di nuovo qualche bus di linea. Chi è potuto rientrare in casa era alle fermate dell'Arpa con un borsone al suo fianco. Vanno a stare dai parenti che vivono fuori del raggio d'azione del sisma. Per chi ha scelto di tenere d'occhio casa dormendo in auto, è presto iniziata la ricerca di cibo. Molti hanno sfidato le crepe minacciose per «razziare» le proprie dispense. Altri si sono allontanati in auto in cerca di un distributore di benzina e gasolio. La notte fa freddo ed è necessario ogni tanto accendere l'auto per scaldare l'abitacolo. Tra gli sfollati c'è chi ha altri pensieri. Passata la paura per la propria incolumità, domandano ai volontari e alle forze dell'ordine notizie dei paesi lì vicino: «Sa mica per caso quanti morti ci sono stati a Roio Piano, a Sant'Angelo»; «M'hanno detto che a Onna è crollato tutto, ma è vero?». «E a Poggio di Roio com'è andata?». Chiedono, vogliono sapere. Hanno amici e parenti nella zona. Il campo da rugby di Paganica, dopo la pioggia di ieri e la pressione dei mezzi pesanti che hanno scaricato viveri e vettovaglie, è diventato un pantano marrone. Solo ai bordi resta un po' di erba color smeraldo. Tra le tende blu montate dai volontari degli Alpini spunta Luca, sfollato insieme agli anziani genitori e a due nipotini: «Casa mia per fortuna è solo inagibile». Poi abbassa la testa e prosegue: «Il cemento armato ha retto, ma i tramezzi sono scoppiati. Spero non ci siano lesioni gravi, altrimenti è la fine». Vive il dramma di centinaia di suoi conpaesani. Paganica, l'epicentro del sisma, sembra un villaggio serbo-croato dopo la guerra. «I muri scoppiavano come sotto le cannonate». Basta farsi un giro in paese, tra le abitazioni più a valle, quelle costruite di recente, per capire che la metafora calza. Le pareti sono bucate. Foratini e mattoni sono scoppiati. Il terremoto ha sconquassato il cemento che a sua volta ha compresso le tramezzature. Chi abita nel centro storico e ha visto casa crollare non parla. Non ha paura degli sciacalli, non ha paura di un altro sisma. Pensa solo che s'è salvato. Lo pensano anche Lina ed Evaldo Foresta, due sopravvisuti di Onna, dove ieri sera si contavano una settantina di morti. La casa della famiglia Foresta è andata distrutta. Nel capanno accanto alla loro abitazione hanno perso 70 pecore schiacciate dalle travi. «Ma siamo stati fortunati - spiega la signora Lina - anzi siamo fortunati», ripete mentre a voce alta fa il conto dei compaesani che mancano all'appello. Onna era un borgo di trecento persone. «Siamo fortunati perché qui c'è chi ha perso tutto. A noi è rimasta la casa che avevamo appena finito di costruire e che ci ha salvato la vita. Ci è rimasta pure l'auto, protetta dal vecchio soffitto a botte del piano terra». Lina, dopo la prima scossa di domenica sera, è andata a dormire a casa nuova insieme ai figli Antonella e Paolo. Suo marito è voluto rimanere - «cocciuto», dice Lina - nella vecchia. Il soffitto non lo ha centrato perché si era sporto dalla finestra per urlare al paese la sua paura. Anche lui, come tutti quelli che domenica sera sono andati a dormire in macchina dopo le prime due scosse, è stato salvato dalla paura. Pio Broglia, un anziano signore che vaga tra le macerie di Onna con un braccio rotto ingessato e appeso al collo, guarda quel che resta di casa sua. Viveva con sua sorella. Ed è morta. Le parole di Pio sono ferme, il pensiero è lucido. Guarda i tetti di cemento adagiati sopra le macerie e spiega: «Qui hanno costruito senza nessun criterio. Ma come si può appesantire così le abitazioni». Poi alza lo sguardo, di lato, su un'abitazione col tetto di legno, la indica e dice: «I tetti ricostruiti in legno hanno retto. Ora Berlusconi, co' sto piano casa, ne approfitti per farle ricostruire con tutti i crismi». Una delle poche case rimaste in piedi a Onna aveva in cortile una statua della Madonna di Lourdes. Ma a volte anche i miracoli hanno bisogno del buon senso degli uomini.

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