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Ora occorre ripensare compiti e ruoli delle Regioni

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Disincagliareil piano casa dalle secche del nostro regionalismo era fondamentale. Anche sotto un profilo istituzionale, che, proprio in tempi di federalismo, sarebbe assurdo celare. Quando le si realizzarono, le Regioni parvero la grande occasione riformatrice della democrazia italiana. Da esse si presumeva potesse scaturire uno sviluppo economico e civile più equilibrato dal punto di vista territoriale. Di questo disegno, nelle Regioni così come sono, non si riesce a ritrovare la trama. In concreto, le Regioni segnano spesso un momento e un luogo di interdizione, che complicano anziché snellire i processi decisionali. Venuta meno ai suoi compiti di programmazione, certo non esclusivamente per sua inadempienza, la Regione si è messa a cercarsene altri di gestione: cioè, ha ignorato che per programmare di più si deve amministrare di meno. Quando, come negli scorsi giorni, il fronte delle Regioni ha voluto rivendicare le proprie prerogative costituzionali sul piano casa, ha dato la sensazione di voler atteggiarsi a dispetto nei confronti dello Stato. Il fatto che l'urbanistica rientri fra le competenze regionali non significa che lo Stato non sia poi il titolare del diritto di superficie sugli immobili e che, quindi, possa meglio dettarne delle misure di liberalizzazione. Nella distribuzione di una fetta di spesa pubblica, che si aggira attorno al 30% di quella nazionale, le Regioni non possono essere né sentirsi «irresponsabili». Tanto meno spetta alle Regioni alimentare quella insulsa demonizzazione della proprietà privata, considerata pregiudizialmente nemica del bene comune, o schierarsi sulla linea dell'antiberlusconismo politico, millantandolo come antiberlusconismo costituzionale. La vendita degli alloggi rubricati «case popolari» è una riforma oggi berlusconiana. Eppure risale alla stagione fanfaniana e saragattiana della nostra democrazia. L'odierno degrado degli ambienti urbani in cui le case sono collocate si lega alle proprietà di quegli stessi immobili: il fatto di occupare una casa pubblica, rende gli inquilini meno attenti alle sue condizioni. Sicché trasformare gli inquilini in proprietari, far diventare la casa primo mattone di un capitale ed a suo modo mezzo per avviare una nuova attività economica, è un'ottima idea per riavviare lo sviluppo. Perché mai impantanarsi nel regionalismo dei veti e dei ricorsi alla Corte costituzionale? Il limite maggiore delle leggi Bassanini negli anni 90 fu quello di essere state pensate e redatte «a costituzione invariata». Venne poi, voluta e votata dal solo centrosinistra, quella sciagurata riforma del titolo quinto della nostra Costituzione, interprete di un regionalismo infantile e ricattatorio. Berlusconi e Bertolaso lo hanno sconfitto col termovalorizzatore di Acerra. Fitto e Matteoli ne hanno aggirato le insidie sul piano casa. Se le Regioni vogliono essere credibili, non debbono dolersene. Luigi Compagna

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