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La sinistra esulta, l'area cattolica fa muro sull'etica

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Senzaevitare i passaggi scomodi. Anzi. Su questioni delicate per gli equilibri del centrodestra, il presidente della Camera non accenna alcuno sconto. Così non si preoccupa di definire il testamento biologico «una legge che non va» e lancia con forza la necessità di marciare sulle riforme ricordando però al premier che fin quando la Costituzione è questa «i presidenti di Camera e Senato hanno il dovere di rimarcare il ruolo centrale del Parlamento» nel processo di formazione delle leggi. Affermazioni che piombano sul congresso e provocano le prime divisioni tra gli esponenti di Fi e An. Non manca chi, come Maurizio Lupi o Ignazio La Russa, sottolinea che una posizione che si discosti da quella della maggioranza rappresenta un fattore di arricchimento per una forza che nasce dalla fusione di due partiti, ma lo sbandamento è innegabile. L'area cattolica, da Gianfranco Rotondi a Roberto Formigoni, scalpita. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno, (ex) An, puntualizza: «Io mi ritrovo nel testo uscito dal Senato», mentre il collega Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato, si dice «orgoglioso» del testo Calabrò. Intanto però il vero plauso l'inquilino di Montecitorio lo raccoglie a sinistra. «Colpisce che sul ddl Calabrò - dice la presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro - Fini abbia usato le stesse parole che il Pd ha usato per contrastare questo provvedimento. Sul testamento biologico è legittimo avere opinioni diverse nel merito, ma quella che non può essere messa in discussione è la laicità dello Stato». E la terza carica dello Stato incassa anche i complimenti della sinistra radicale, con il segretario del Prc Paolo Ferrero che si dice d'accordo con lui perché «si avvicina alla verità nel definire il ddl Calabrò una legge da Stato etico». Perfino l'Idv di Di Pietro apprezza il discorso di Fini anche se non rinuncia a mettere a segno una stoccata: «Le parole di Fini - dice infatti con una punta di amarezza il presidente dei deputati del partito, Massimo Donadi - sul testamento biologico sono tardive e inutili, anche se condivisibili». L'altro tema scottante che il presidente della Camera chiede allora di cominciare a discutere è il rapporto tra governo e Parlamento, del rapporto tra le due Camere, puntando al «federalismo istituzionale, con la formazione della Camera delle regioni o delle autonomie». Un discorso che vale a Fini la promozione da parte del Pd a interlocutore privilegiato a tal punto che i Democratici si ritrovano a rovesciare ironicamente il «gingle» del congresso: «Meno male che Fini c'è». E Fini piace al punto che Massimo D'Alema, da sempre in feeling con il presidente della Camera, fa un'apertura di credito sulle riforme: «Credo che dobbiamo raccoglie la sfida su una stagione costituente» a partire dal pacchetto Violante, che «finora aveva trovato nella destra il principale ostacolo». Anche da Pier Luigi Bersani arrivano segnali di apprezzamento: «Fini ha smontato gli architravi delle politiche del governo di Berlusconi. Posizioni che non vanno derubricate come semplice dialettica congressuale» ma «come un'autorevole voce dissenziente dentro la maggioranza».

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