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Berlusconi da imprenditore ha capito l'importanza del mattone

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«Seriparte l'edilizia riparte tutta l'economia», aveva avvertito sabato Berlusconi annunciando e spiegando il proposito di favorire, anche con un forte snellimento delle procedure burocratiche, l'aumento del 20 per cento della cubatura degli immobili esistenti, del 30 per cento nel caso di abbattimento e ricostruzione di edifici obsoleti, del 35 per cento nel caso di ricostruzione degli edifici con le regole della bioedilizia e del risparmio energetico. Ad un Franceschini attratto dalla campagna demonizzatrice contro il «cementificatore» Berlusconi in occasione dei condoni edilizi varati dai suoi precedenti governi, l'Annunziata ha prudentemente ricordato i successi politici già procurati al presidente del Consiglio dall'attenzione per i problemi della casa. Ai quali gli italiani tengono moltissimo. Ancora più in particolare, l'Annunziata ha ricordato al suo ospite, con l'aria della maestra all'allievo, che la promessa di abolizione dell'Ici sulla prima casa, quella cioè in cui si abita, ancora tanto bistrattata dall'attuale opposizione, fu l'arma segreta con la quale Berlusconi nelle ultimissime battute della campagna elettorale del 2006 recuperò quasi per intero lo svantaggio accumulato nei riguardi di Romano Prodi. Il quale poi vinse solo per una manciata di voti, neppure tanto cristallini, tra accuse e sospetti di brogli mai chiariti del tutto. Egli fu condannato a vivacchiare al governo per meno di due anni,sorreggendosi sulle grucce dei senatori a vita. Ma anche nella campagna elettorale precedente, quella vinta da Berlusconi nel 2001, si era rivelata decisiva l'attenzione da lui riservata al forte interesse che gli italiani hanno alla casa: a quella che abitano e alle altre che intendono lasciare ai figli. Nel primo dei cinque «obiettivi» indicati dal Cavaliere nel «contratto con gli italiani» sottoscritto nello studio televisivo di Bruno Vespa alla vigilia delle elezioni del 13 maggio, c'era fra l'altro «l'abolizione della tassa di successione e della tassa sulle donazioni». Gli avversari lo accusarono, pensando di fare breccia sugli sprovveduti, di aver voluto garantire ai propri figli l'eredità gratuita delle sue aziende. Gli elettori capirono invece benissimo che in gioco erano prima di tutto le proprie case, spesso acquistate con grandissimi sacrifici, e il diritto dei figli di ereditarle senza subire tasse da rapina. Che peraltro finivano frequentemente per costare all'erario molto più di quanto gli rendessero. Quando si parla di Berlusconi come imprenditore molti pensano alle sue attività ed esperienze editoriali,soprattutto a quelle televisive. Si trascura a torto il peso che ha avuto l'edilizia nella sua formazione imprenditoriale, e nella lezione che ne ha saputo trarre nei passaggi successivi,compreso quello politico. Il rapporto di Berlusconi con il mattone spiega forse molto più del rapporto con l'antenna televisiva, e con la pubblicità, la sua sensibilità politica di oggi, quell'ottimismo ostentato di fronte ad una crisi economica della quale non gli si può certamente attribuire la responsabilità. Cosa, quest'ultima, che lo stesso Franceschini ha riconosciuto ieri con l'Annunziata,anche a costo forse di procurarsi qualche invettiva di Antonio Di Pietro. Che prima o dopo attribuirà anche i suoi errori di magistrato a Berlusconi, colpevole di non essersi lasciato «sfasciare» come imputato da lui, che si era offerto di farlo con il capo della Procura di Milano, Francesco Saverio Borrelli, nell'autunno del 1994. Il rapporto quasi rabdomantico di Berlusconi con il mattone, e con i sentimenti ch'esso riesce a creare o a risvegliare nel pubblico, spiega anche il modo in cui, a metà degli anni Settanta, sentii parlare per la prima volta di lui da Indro Montanelli. Accadde a pochi metri di distanza dalla sede de «Il Tempo». Eravamo in Piazza di Pietra, dove si affacciava la redazione romana del Giornale, e discutevamo ancora una volta delle difficoltà sopraggiunte per noi alla fine dei rapporti con l'allora presidente della Montedison Eugenio Cefis, che ci avevano consentito di uscire nelle edicole il 25 giugno 1974. Il povero Montanelli era angosciato dalla paura di trovarsi nella impossibilità di pagare gli stipendi. Ad un certo punto, presomi sottobraccio, mi disse di avere conosciuto un uomo che poteva risolverci «forse tutti i problemi». Gli chiesi naturalmente chi fosse. E lui mi rispose, con aria ancora misteriosa: «Un giovane palazzinaro». Di Roma ? Gli chiesi d'istinto. E lui: «No,no. È brianzolo». E mi spiegò, quasi per volermi tranquillizzare: «È un palazzinaro atipico, entusiasta. I palazzi non si limita a costruirli e a venderli. Li ama. Amerà probabilmente anche il nostro mattone». Che infatti avrebbe acquistato di lì a poco. «Si chiama Berlusconi», si decise infine a rivelarmi quella sera Montanelli.

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