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Senato, primo si al Federalismo fiscale

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Primo sì del Senato al disegno di legge delega sul federalismo fiscale. Il testo è passato con 156 sì, 6 no e 108 astenuti. In Aula, per l'occasione, anche il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Scontato il sì di Pdl e Lega che ne ha fatto una propria bandiera e che, in particolare con il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, ha portato avanti una lunga opera di dialogo con l'opposizione (e per questo è stato ringraziato in Aula dal presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro). Come deciso nel corso di una riunione nel pomeriggio con il segretario Walter Veltroni, il Partito democratico si è astenuto. Veltroni ha parlato di una scelta di una «forza seria e responsabile» che ha «la responsabilità di affrontare le grandi sfide e la forza di aver cambiato il testo base» durante i lavori a Palazzo Madama. Ma ha poi avvertito che se non dovessero essere scelti alcuni nodi, primo fra tutti quello sull'impatto economico della riforma, il Pd potrebbe modificare in futuro il proprio atteggiamento. Preoccupazione è stata inoltre espressa dalla Finocchiaro per il «ruolo del Parlamento nell'attuazione del federalismo fiscale». La senatrice ha poi sottolineato che, con la scelta del Pd, viene meno il clichè «di un'opposizione riottosa e incapace di proposte e che dice sempre no». Astensione anche da Italia dei valori: questo, ha dichiarato Felice Belisario vuole «essere un segnale di fiducia nei confronti della riforma» che ha comunque bisogno di essere migliorata e per questo «saremo sentinelle». No dell'Udc: «Non ci interessa votare un provvedimento che è un manifesto della Lega» ha spiegato Pierferdinando Casini, definendolo un testo «confuso e pasticciato», che contiene «un federalismo al buio, sul quale anche il ministro Tremonti ha dovuto alzare le mani e confessare che non è in grado di dire quanto costerà». In Aula Gianpiero D'Alia ha parlato di un provvedimento che contiene «tanti dubbi e pochissime certezze e queste tutte in negativo». Esulta il Carroccio: «È una riforma che rilancerà il Paese - ha detto Federico Bricolo - realizzata senza dividere, senza penalizzare nessuno ma nell'interesse delle future generazioni». Elogia «il processo di cambiamento che abbiamo iniziato a portare avanti in nome del confronto» Carlo Vizzini del Pdl. Sì dall'Mpa: «Accettiamo la sfida della modernizzazione dello Stato» ha detto in Aula Giovanni Pistorio. Questi in sintesi i contenuti del ddl. DA SPESA STORICA A COSTO STANDARD - L'obiettivo è quello di assicurare autonomia di entrata e di spesa agli enti locali in modo da sostituire, gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica con quello del costi standard per i servizi fondamentali erogati. In sostanza si individuerà un costo standard per ogni servizio erogato dagli enti territoriali cui tutti dovranno uniformarsi. Si supera così il criterio della spesa storica che «finisce spesso per premiare chi ha creato più deficit, favorendo comportamenti che creano disavanzi destinati prima o poi a essere coperti dalle imposte a carico di tutti» si legge nella relazione al ddl. AUTONOMIA IMPOSITIVA e PEREQUAZIONE - Per finanziare l'erogazione dei servizi, le autonomie locali potranno contare sulla compartecipazione a tributi erariali e su tributi propri. Previsto inoltre un fondo perequativo di carattere verticale. Le spese dei comuni relative alle funzioni fondamentali sono «prioritariamente» finanziate da compartecipazione a Iva e Irpef e dalll'imposizione sugli immobili, a esclusione della prima casa. PREMI PER ENTI VIRTUOSI - Un «sistema premiante» per gli enti che assicurano elevata qualità dei servizi a fronte di una pressione fiscale inferiore alla media degli enti del proprio livello. Sanzioni per gli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica, con il blocco automatico delle assunzioni; rischiano la ricandidatura gli amministratori inadempienti. Approvato inoltre un emendamento del Pd, riformulato dal governo, che prevede che «nell'ambito della premialità per i Comuni virtuosi» lo Stato, in relazione al patto di stabilità delle finanze pubbliche «non possa imporre vincoli alle politiche di bilancio degli enti locali per quanto riguarda le spese in conto capitale».  

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