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Alemanno, il più amato dal governo

Alemanno

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Sarà, comunque il sostegno che ha ottenuto il sindaco appartiene alla straordinarietà. Tanto da suscitare ormai più di una gelosia. Da parte del Pd, ma anche — e soprattutto — dalla Lega. Intanto però l'ex ministro incassa. Eppure, quando Alemanno ha varcato il portone del Campidoglio era messo male. I debiti del Comune ammontavano di fatto a 9,3 miliardi. Una situazione disastrosa che finì anche per dividere la squadra del neo sindaco. Due erano infatti le scuole di pensiero. La prima, quella del «s'è sempre fatto così, famolo pure noi». La seconda, quella della linea del rigore. Prevalse questa seconda e il sindaco, dopo una trattativa con Tremonti, strappò una modifica al testo unico degli enti locali che prevedeva di fatto di avviare le procedure del dissesto finanziario senza dichiararlo. Il che ha significato che tutto il debito pregresso del Campidoglio se l'è accollato lo Stato e Alemanno è potuto ripartire come se il 28 aprile 2008, giorno della sua vittoria elettorale, il Comune avesse chiuso e il giorno dopo se ne fosse aperto uno nuovo. Poi sono arrivati i 5000 milioni di prestito come anticipazione di Roma Capitale. Già, Roma Capitale. E siamo a settembre. Il governo vara il federalismo fiscale e nel disegno di legge specifica le funzioni amministrative che spettano al Campidoglio, oltre a quelle attualmente di sua competenza. Si va dalla tutela e valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali all'edilizia pubblica e privata alla protezione civile. Queste funzioni sono disciplinate con regolamenti del consiglio comunale, che diventa «Assemblea capitolina». A Roma Capitale viene attribuito un patrimonio «commisurato alle funzioni» che le vengono attribuite ed è previsto anche il «trasferimento, a titolo gratuito, a Roma capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell'Amministrazione centrale». Ma non è solo Tremonti a dare una mano. Roma è sostenuta pesantemente anche al Viminale. È la prima città nella quale vengono inviati i soldati di rinforzo nell'attività di ordine e sicurezza pubblica. Va via il prefetto Carlo Mosca e arriva Giuseppe Pecoraro, più in linea con le nuove esigenze capitoline. Avvicendamento anche alla Questura tra Marcello Fulvi e Giuseppe Caruso. E ora il capitolo patto di stabilità. Con le risorse attuali Roma si sarebbe trovata per gli investimenti del nuovo anno appena 7 milioni di euro. Significava non arrivare neppure a fine mese. Un emendamento al decreto anti-crisi prevede invece che gli investimenti per la metropolitana C non sono conteggiati ai fini del patto di stabilità interno. Tradotto vuol dire che Roma può spendere. Quel «poter spendere» che è mancato ai due sindaci precedenti. Nè Rutelli, né Veltroni, entrambi sostenuti per un periodo da un governo di centrosinistra (Prodi ma anche D'Alema) hanno mai avuto tanto. Anzi. Finanziamenti e aiuti sono sempre arrivati con il contagocce. Facendo scoppiare anche qualche lite tra il Campidoglio e palazzo Chigi. I soldi, nelle casse del Comune di Roma, sono sempre mancati. Fin dalla prima consigliatura di Francesco Rutelli, costretto a fare i conti con l'eredità della gestione di Franco Carraro. Un po' meglio è andata con il secondo mandato, quando il sindaco ha privatizzato il 49 per cento dell'Acea, la società che si occupa della gestione dell'acqua della città, ricavandone, nel '99, quasi 2300 miliardi. E sempre in quegli anni sono arrivati altri 3500 miliardi per le opere per il Giubileo. Ma quando nel 2001 è arrivato Veltroni i bilanci comunali erano di nuovo in profondo rosso. E la gestione dell'attuale segretario del Pd non ha certo contribuito a migliorarli.

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