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Sì al collegio anche per le intercettazioni

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Il presidente Fini ha proposto una sintesi, sulla quale credo che tutti possano convergere, quando ha sottolineato la necessità di restituire efficienza alla giustizia e al contempo la necessità una profonda riflessione sull'assetto della magistratura. Anche questo secondo profilo è importante al fine di garantire la collettività. Un giudice che sia all'altezza delle proprie funzioni è una garanzia irrinunciabile». Cosa ne pensa della proposta ripresa recentemente da Tenaglia di avere tre giudici, e non uno solo, per la custodia cautelare? «Un collegio garantisce maggiore ponderazione nelle decisioni e al contempo è sicuramente più autonomo dal Pm. Inutile negare che spesso il GIP ratifica le decisioni del PM. Ecco perché io, da sempre, sono favorevole alla collegialità e ne ho sostenuto con forza l'inserimento anche in materia di intercettazioni. Sono a conoscenza del fatto che molti oppongono le difficoltà dovute al numero esiguo di giudici; tuttavia io non credo che problemi di organico possano limitare le garanzie». Il tribunale del Riesame di Potenza ha smontato l'inchiesta «Totalgate», condotta dal pm Woodcock. Inchiesta che lei conosce bene difendendo Francesco Rocco Ferrara, una delle persone coinvolte, ora ai domiciliari. «In effetti, in questo caso, si può sicuramente affermare che il Tribunale del Riesame ha rilevato numerosi errori del provvedimento: da un lato, ha escluso la sussistenza dei gravi indizi dell'associazione per delinquere; dall'altro, ha escluso in alcuni casi la competenza per territorio di Potenza e infine ha anche annullato il sequestro di un ingente patrimonio. Ad una serie di società di un mio assistito era stato sequestrato un patrimonio di oltre 40 milioni di euro senza un minimo di motivazione ma il tribunale del riesame ne ha disposto il dissequestrato». Un tema della riforma che fa ancora tanto discutere è quello delle intercettazioni. Tema che crea delle spaccature anche all'interno della stessa maggioranza. Quale secondo lei la via più giusta? «La via maestra sarebbe l'applicazione rigorosa delle norme già esistenti. L'eccesso, nel momento in cui vengono autorizzate le intercettazioni, deriva dal fatto che le norme attualmente in vigore, che prevedono che le intercettazioni siano disposte quando indispensabili, vengono eluse. Ecco perché le nuove norme, anche se sembra un paradosso, sono state create anche al fine di garantire il rispetto delle norme vigenti. L'introduzione dell'organo collegiale garantirà maggiore ponderazione nel momento in cui le intercettazioni verranno disposte. Credo, invece, che riducendo l'area dei reati intercettabili non si otterrebbe alcun beneficio. La soluzione quindi non è cancellare le intercettazioni ma prevedere sanzioni disciplinari effettive a carico di quel singolo PM che sistematicamente elude la legge». Quanto incidono le recenti vicende giudiziarie, con al centro numerosi esponenti politici, sull'urgenza di mettere mano alla giustizia italiana? «Sarebbe assolutamente inaccettabile riformare la giustizia come reazione ai recenti provvedimenti giudiziari, ma basta esaminare le date e si scoprirà che il centrodestra parla di riforme sin dall'inizio della legislatura». In uno scenario come quello attuale, crede esista il pericolo di una riforma più basata sugli interessi politici, che su quelli del cittadino? «A me ciò che ha colpito in questo periodo non sono stati i provvedimenti giudiziari a carico di quel politico piuttosto che di quell'altro. Il fatto più atipico e sconcertante è stato lo scontro tra le procure di Salerno e Catanzaro. Questo scontro mi ha allarmato. Ecco perché credo che la madre delle riforme sia quella della selezione dei magistrati. Le forme attuali di accesso alla magistratura sono inadeguate. Servono procedure che offrano la certezza che chi svolge quelle funzioni ne abbia i requisiti morali e tecnici. Servono giudici capaci di calarsi nella realtà concreta con equilibrio».

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