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Meglio tenersi Cristiano e buttare via Tonino

Di Pietro

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A proposito, sia Montanelli, sia Biagi - insiene a Giorgio Bocca - furono firmatari del manifesto antisemita del 1938, tuttavia Paolo Mieli, di padre ebreo - il mio grande amico e maestro Renato - non ebbe mai problemi a star con quella gente. Ora massacrano il figliuolo colpevole di raccomandare cani e porci, eppure, il babbo fu amico di indagati, a cui chiedeva cento milioni a testa, senza rilasciare neppure una ricevuta. Erano doni, poi, per salvare Mani Pulite, vennero derubricati a prestiti. Babbo Antonio è solito dire: io sono stato sempre assolto. È vero, ma non capita a tutti d'essere archiviati attraverso i filosofemi del tipo che è normale uno «sconto» di 30 milioni su una Mercedes che ne vale 55. Il babbo «progettò» tanto, forse troppo. Ecco una telefonata, ore 10 e 31, del 19 novembre 1995: - Di Pietro: Pronto? - De Benedetti: Dottor Di Pietro?. - D.P.: Sì.... - D.B.: Sono Carlo De Benedetti... - D.P.: Sì...l'avevo riconosciuta benissimo, come va...che piacere sentirla. - D.B.: Bene, bene...anch'io. - D.P.: Noi, a questo punto, ho capito che abbiamo tanti amici comuni. - D.B.: Bene...e Prodi è uno di questi...no? - D.P.: Prodi è uno di questi, sì - D.B.: Sì, ma quando...ehm... il suo progetto va avanti. - D.P.: Il nostro progetto... il nostro, eh sì, il mio progetto va avanti, sta, stiamo lavorando... ma quando avremo modo di parlarne, poi gliene… preferisco parlargliene a voce. Suvvia, Cristiano è più archiviabile di Antonio, l'archiviato per grazia ricevuta. Un signor Nessuno, al posto suo, dura lex, sed lex l'avrebbe fatto a pezzi. In più, se i fautori dell'Idv nutrissero rispetto per la lingua del sì, scaricherebbero non il figlio, bensì quel criminale morfosintattico del babbo. Nel 2004, davanti al suicidio del povero Mercuriali, Tonino esternò: «Rilevo però come questa storia dei suicidi "a orologeria" stia assumendo i toni dell'estremo ricatto verso l'istituzione della giustizia». La stolida affermazione venne registrata da Il Giornale, 5 ottobre 2004, quotidiano, allora, autorevolmente diretto. I delitti del babbo contro l'italiano continuarono. Cito solo quelli da ergastolo: «questioni da mettere al tappeto»; «banda di sbandati»; «la gente stufo di...»; «macchia di leoparda»; «indicazioni da fare»; «la sua persona personale»; «la commissione non c'è bisogno»; «una poltrona al sole»; «essi stabbiano» (voce del verbo «stare»); «il molisano, con la sua manualità, basta e avanza...»; «parlo in dipietrese per esprimere il cuore»; «siccome stiamo con i piedi per terra, è bene fare un gradino alla volta»; «io dico no alle astratte formule, alla ingegneria politica. Alla gente che ce frega del trattino?»; «se si ragiona solo in termini di poltrone, l'albero non fa frutti: col mulo non ci fai niente, ci vuole l'asino»; «non si vincono le elezioni con le truppe cammellate. Non siamo stati noi dell'Italia dei valori a fare il cammellaggio»; «noi dobbiamo dare il ben esempio»; «vincete il congresso, e poi? Fate come il tale che dice: mia moglie mi ha fatto il dispetto, e io me lo taglio»; «bisogna innestare il vecchio e il nuovo: il nonno deve dare la mano al bambino, non sputargli addosso»; «andate a leggervi il capitolo sulla scuola, un problema delicatissimo sul quale vi accorgerete che l'ho scritto in punta di piedi»; «nulla va preso a oro colato»; «ci accusano di fare un partito delle tessere. Su qui dobbiamo intenderci molto bene: il rischio c'è stato»; «il mio è un documento fatto in quattro giorni, perché altrimenti dicono che non abbiamo idee»; «niente giochi della quaglia»; «in tempi di recessione cavalcante»; «come cittadino sono arrabbiatissimo con l'Ulivo che sta lì inebètito a guardare». Amici lettori, dopo esservi scompisciati, converrete che è giusto buttare giù il babbo, non il figlio.  

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