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«L'Italia soffre il virus della Bastiglia»

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Presidente, cosa pensa della proposta del ministro Sacconi che pare abbia fatto breccia anche su Guglielmo Epifani. Giusto lo slogan "lavorare meno per lavorare tutti"? «Non nello stesso senso in cui venne accolto questo slogan, diversi anni fa, in Francia quando vennero introdotte le 35 ore settimanali, con l'idea che per il futuro si potesse lavorare meno. Punto e basta. Si sosteneva insomma "tout court", che la civiltà del futuro, le nuove tecnologie ci avrebbero permesso di ridurre le ore e quindi i giorni di lavoro. La Francia si è accorta a sue spese che quella innovazione lì non poteva funzionare in un'economia globalizzata. Per stare dietro ai nuovi produttori, a quelli dell'oriente che sfruttano mano d'opera a costi bassissimi, non bastava la risposta di costi più bassi in casa nostra: non ce lo possiamo permettere. Un'idea quindi, credo, che per essere attuata va rinviata almeno un secolo». E allora? «Allora lavorare meno per lavorare tutti, come propone il ministro Sacconi, può essere un modo per affrontare una situazione di emergenza, di difficoltà momentanea per un'aspettativa nostra che sia ragionevole e soprattutto, lo dico con forza e chiarezza, transitoria». La situazione comunque richiede provvedimenti straordinari, non le pare? «Certo. Abbiamo davanti un grave rallentamento dell'economia. Si parla di recessione e i numeri sono quelli della recessione. Quando per due trimestri il Pil diventa negativo, non si produce e non si vende e i prezzi si abbassano ma nonostante questo i consumi non salgono, siamo di fronte ad una situazione che tende alla stagnazione. Per mille ragioni». E nel nostro caso? «In questo caso legata alla gigantesca crisi finanziaria che ha congelato l'uso dei soldi per una diffidenza che si è diffusa in tutti i mercati a causa dei prodotti finanziari avvelenati che rendono diffidente chiunque una volta che si è accorto del veleno che circola. Ci vuole tutto il tempo di cui ci sarà bisogno, speriamo il meno possibile, per ripristinare un clima di fiducia, per ricreare circolazione di liquidità, per destinare questa liquidità all'investimento». Ma quali garanzie bisogna dare o chiedere a seconda delle parti? «Bisogna affrontare la fase di stagnazione, di scarso lavoro, in modo che la traversata la possano fare tutti, senza che qualcuno si perda. Perché ci sarà la ripresa, tutti ne siamo convinti, ma il nostro problema è che a quel momento ci arriviamo tutti: chi perde il lavoro per l'età, per la condizione, per gli orientamenti, può essere qualcuno che non recuperiamo più e questo sarebbe gravissimo perché si parla di un essere umano, di una famiglia, di figli. E quindi dividersi il lavoro perchè lavoriamo tutti è un'idea saggia». Come ridurre le retribuzioni? «Ridurre le retribuzione in modo che con lo stesso monte salari si possa lavorare tutti: è la stessa idea vista dall'altra parte e attuata diversamente. È importante che in questo momento, tra imprese e sindacati, si stabiliscano dei binari comuni perché è l'unico modo per non lasciare nessuno in questa palude». Presidente perché Berlusconi parla di presidenzialismo e trova freddezza, o poca propensione, sia tra gli alleati che nell'opposizione? «Io immagino per le ragioni che poi vengono espresse chiaramente dalla Lega in particolare: Bossi teme che il suo federalismo, oggi ampiamente condiviso, si trovi con i bastoni fra le ruote a causa di un'altra riforma che non è altrettanto condivisa. È stato precisato che se ne parlerà dopo però non si fa che parlarne. Anche io preferisco parlarne dopo». Lei è stato recentemente ministro dell'Interno e quindi sa bene qual è l'importanza delle intercettazioni. Ma non le pare che si stia davvero abusando? «Ha detto bene. Dentro di me ho l'esperienza , come ministro dell'Interno e so bene, ho capito bene quanto le intercettazioni telefoniche siano uno strumento prezioso per intercettare tempestivamente diversi reati. L'idea di limitarne l'uso solo ad alcuni reati mi trova molto, molto freddo». Perché? «Ma perché anche gli stessi reati di mafia, che sono quelli a cui si vorrebbero riservare le intercettazioni, in realtà si arriva a coglierli, ramo dopo ramo, connessione dopo connessione, attraverso altri reati. Le intercettazioni sono un veicolo importante, determinante». Ma non se ne può abusare, non crede? «Proprio così. Continuo ad essere esterrefatto nel veder apparire sui giornali intercettazioni relative a persone alle quali non si contesta alcun reato e di cui si mettono invece in piazza affari e rapporti con sospetto. Se c'è un signore che è indagato perchè ha commesso dei reati e attraverso una rete di conoscenze arriva ad essere intercettato un qualcuno che, con quegli affari, non ha niente a che vedere, questo qualcuno non trova solo la sua telefonata pubblicata, ma il clima che comincia a circondarlo è lo stesso di quello che si crea intorno a chi ha commesso il reato. E l'innocente, per di più inconsapevole, viene tirato in ballo. E additato, vilipeso. Questa è la malattia della Bastiglia dalla quale non riusciamo a liberarci. Mi creda, siamo tutte "tricoteuses" felici di veder cadere teste e più ci viene offerta la testa di qualcuno che non ci aspettiamo che lo meriti, e più in fondo abbiamo un sentimento di inconfessabile goduria. Questa è una vergogna, è un'autentica vergogna nazionale che coinvolge coloro che pubblicano le intercettazioni e coloro che le mettono in circolazione». Presidente, però i partiti ci mettono del loro. O no? «Ho smesso di fare politica, sono un cittadino e mi prendo come tale la mia parte di vergogna. È troppo comodo avere i politici come bersaglio sul quale scaricare tutto. Fu così ai tempi di Tangentopoli, è così spesso oggi e in ogni circostanza. Tutte le volte che vedo una società che tende a identificare i suoi mali nella criminalità organizzata e nella politica capisco che quella è una società malata».

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