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Toccati dalle inchieste i Pd protestano e si ribellano

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E c'è un tempo, quello di oggi, che il sindaco di una grande città, che pure proviene dalla storia della sinistra, davanti a un'indagine della magistratura che coinvolge la sua giunta va davanti a un grande giornale a incatenarsi. È davvero una storia curiosa quella che sta avvenendo nel Pd. O sarebbe meglio dire negli ex Ds o ex Pci visto che tutti i principali coinvolti nelle inchieste provengono da quella esperienza. E così se un tenpo chiedevano le dimissioni di chiunque davanti a un avviso di garanzia (e in qualche caso non era nemmeno necessario quello), oggi invece strillano e sbraitano al solo pensiero che qualche pm possa occuparsi di loro. Il sindaco di Firenze, Leonardo Domenici (due suoi assessori sono indagati per il caso Fondiaria e lui s'è fatto quattro ore davanti ai pm), è venuto fino a Roma, davanti alla sede del giornale la Repubblica, il giornale della sinistra illuminata, il giornale dei giudici e delle manette, per protestare. Pur essendo presidente dell'Anci, non si è mai prodotto in manifestazioni simili quando sono stati buttati in galera altri primi cittadini. Comunque, stavolta protestare per cosa? Due le spiegazioni. Una risibile: contro la distorsione dei fatti. Un'altra da sbellicarsi: perché non vuole che il suo nome venga affiancato a quello di altri amministratori. Quali? Quelli di Napoli e di Genova, che naturalmente sono anche loro del Pd. A Napoli governa Rosa Russo Iervolino, quella stessa che - come ha ridordato Il Tempo due giorni fa - chiedeva il passo indietro ai politici Dc sfiorati dalle indagini della magistratura. Ebbene la Iervolino si ritrova un suo ex assessore suicida, un altro che s'è dimesso e si è ritirato dalla politica. Così facendo per i pm sarà difficile chiedere una misura cautelare, se a questa stavano pensando, visto che non può inquinare le prove e non può reiterare il reato. E di fronte a questa situazione lei, la Iervolino, ogni giorno protesta con la Procura a cui chiede maggiore riservatezza almeno sul segreto istruttorio. Di dimissioni non se ne parla proprio. Dal Comune alla Regione. Antonio Bassolino svela che, sotto processo per i rifiuti, non si è dimesso nel pieno dell'emergenza perché «convenimmo (con Veltroni ndr) che sarebbe stato ingiusto e sbagliato, non solo e non tanto per me o per il nostro partito, lasciare in quel momento». E non intende farlo neanche ora, né nel prossimo futuro visto che ci ripenserà non prima di marzo. Veltroni continua a far sapere in giro che preferirebbe si dimettesse, e a quanto pare invece non è quello che dice a Bassolino. Tuttavia, se davvero vuole mandarlo a casa non ha molto da fare: basta chiamare il gruppo Pd alla Regione e ordinare di presentare una mozione di sfiducia nei confronti del governatore. Se i suoi ubbidiranno, tutto si risolverà in pochi giorni. A Genova il sindaco Marta Vincenzi, di fronte all'arresto del braccio destro per tangenti, ha fatto anche lei finta di nulla. Anzi ha accusato il suo ex collaboratore, subito scaricato, di averle dato una «pugnalata da traditore». Ma niente scuse o mea culpa davanti alla città. In Abruzzo Ottaviano del Turco, arrestato per mazzette, si è avvalso per ben due volte della facoltà di non rispondere, anche se ha concesso interviste a destra e a manca senza mai però chiarire i contorni della vicenda. Il sindaco di Pescara, Luciano D'Alfonso, è sotto inchiesta per corruzione, è ancora in carica e guida anche il Pd regionale e non è mai stato ascoltato in Procura. Insomma, gira e rigira l'Italia, l'atteggiamento dei Democratici cambia ma di poco. Loro non c'entrano, è sempre colpa di altri, protestano, s'incatenano. E comunque non se ne vanno, non si schiodano, non mollano la poltrona. Al massimo ne chiedono una, più sicura, con immunità parlamentare incorporata.

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