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Settimana folle del Pd

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Un passaggio in particolare merita di essere citato. «La holding dei Casalesi - scrive il segretario - va considerata una grandissima impresa criminale eppure la possiamo battere, impedendole di fare aaffari». Non c'è ovviamente un nesso causale, ma basta guardare cosa è accaduto nell'ultima settimana per capire che Veltroni ha perfettamente ragione. Per lui è sicuramente più semplice battere la camorra che riuscire a governare il proprio partito. Il Pd somiglia ormai ad un suk arabo. Ognuno si alza in piedi e dice la sua. Il caso Villari è emblematico. Il senatore democratico è arrivato alla presidenza della Vigilanza Rai grazie ai voti della maggioranza ma anche con il sostegno di due compagni di partito. Veltroni ha gridato al regime e subito dopo ha annunciato le dimissioni del «traditore» («Mi ha telefonato il senatore Villari, per comunicarmi che andrà dal presidente della Camera e dal presidente del Senato a rassegnare le sue dimissioni»). Sette giorni dopo siamo ancora qui. Le uniche dimissioni, dalla Vigilanza, sono state quelle di Nicola Latorre colto in «flagranza di reato» durante una puntata di Omnibus (inviava a Italo Bocchino un foglietto per suggerirgli come attaccare Massimo Donadi dell'Idv). In compenso il vicecapogruppo del Pd a Palazzo Madama, è stato il più acceso oppositore all'idea di espellere Villari dal gruppo. Sforzo vano. Il senatore è stato comunque espulso, ma continua, come se niente fosse, a fare il presidente della commissione fregandosene altamente dell'intesa raggiunta tra Veltroni e il Pdl sul nome di Sergio Zavoli. Un piccolo incidente che, però, ha contribuito a sfasciare completamente il Pd facendo riaffiorare questioni che sembravano morte e sepolte. Su tutte quella della collocazione europea. Ci ha pensato Francesco Rutelli, non uno qualunque, a risuscitarla con un'intervista dal titolo emblematico «Non voglio morire socialista». E dietro lui sono arrivati tutti, a cascata. Per gli ex Ds (in settimana Massimo D'Alema hanno partecipato, in Messico, al consiglio dell'Internazionale socialista) quelle di Rutelli sono parole gravissime. «Sono inutili e dannose le prese di posizione che partono dall'esclusione di un percorso comune con il Pse che oggi, in Europa, rappresenta la più larga aggregazione di forze riformatrici» attacca il vicecapogruppo del Pd alla Camera Marina Sereni. Ma per gli ex della Margherita il Pse resta uno spauracchio. «La strada giusta - scrive Gianni Vernetti su Europa - non è l'adesione acritica ad un gruppo esistente, tanto meno l'adesione al Pse». Ed è anche per questa profonda divisione che, in molti, sono tornati a chiedere un congresso in cui discutere. Ieri è stata la volta di Pierluigi Bersani: «Basta ai lanci di pietre che sbucano ogni giorno sulla stampa. Nel Pd bisogna discutere. Veda il segretario in quale luogo sia utile farlo, e farlo in modo composto e serio». Veltroni ha già convocato la direzione del partito per il 15 dicembre. Ma da qui alle prossime tre settimane può veramente succedere di tutto.

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