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Impedire di studiare non è un diritto costituzionale

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Così, accade che i succitati epici «costituzionalisti» calpestino, quando serve a loro, il diritto costituzionale allo studio, la libertà di gestire il proprio spazio-tempo e quella di poter accedere a scuola o nella facoltà universitaria, senza essere picchiati. La Carta fondamentale è da costoro trattata come gomma americana, per non dire di altri materiali epidermici, per così dire, elastici. Ipocrisia, malafede, arroganza sono i necessari corollari di quanti confondono il diritto allo sciopero, alla protesta e alla manifestazione del pensiero con l'intolleranza bolscevica dei blocchi stradali, delle occupazioni di scuole ed atenei, della violenza sulle persone e sulle cose, della limitazione sistematica della libertà altrui. Sputacchiare, offendere, colpire, ferire i lavoratori di polizia è, forse, un diritto costituzionale? No, è soltanto violenza. Che pena la sinistra sedicente riformista, che rincorre lo squadrismo rosso dei figli di papà: sono sempre i licei classici in prima linea nei collettivi, nelle assemblee, nelle ridicole autogestioni, quasi sempre contigue a scadenze festive, per raddoppiare e triplicare i «ponti»! Al Mamiani, al Virgilio, al Tasso, tanto per restare a Roma, si lotta come matti, mentre negli istituti che abilitano ai mestieri si prendono appunti, perché l'obbiettivo del dopo-diploma è il lavoro, per portare i soldi a casa. Che pena la sinistra che si dice dalla parte dei deboli e che dimentica i meno abbienti, gli studenti pendolari, quelli che già coniugano scuola e lavoro, gli studenti-lavoratori delle Università, per i quali lezioni o sessioni d'esami saltate rappresentano un problema gravissimo, tutti quelli, insomma, che non si possono permettere falce e spinello e che le ragazze le conquistano alla maniera tradizionale, senza vantare castronerie castriste e gesta di strada. Da antico socialista, piango la sinistra che non difende lo studente-lavoratore, mentre arranca dietro i soliti agit-prop fuori corso a vita, dediti esclusivamente all'organizzazione di proteste, cortei, picchetti, attivi e collettivi, essendo, per di più, raccordati con gruppuscoli, partitini e partiti neocomunisti. Chi finanzia i «compagni» al ventesimo anno di fuori corso, addetti a selezionare e preparare i nuovi quadri, che perpetueranno la nuova generazione del delirio totalitario? Un tempo, le sezioni del Pci convocavano i «loro» studenti, generalmente pargoli di funzionari e dirigenti delle Botteghe Oscure, per dettare il calendario delle agitazioni e insegnar loro a gestire le assemblee, in modo da tappare la bocca al dissenso. Oggi, i postcomunisti, essendo rispettosi del diritto allo studio dei loro figliuoli, li iscrivono negli istituti privati, dove si studia e non si gioca alla presa della Bastiglia, riservando ai figli degli altri l'ingaggio militante sostitutivo del diritto di apprendere. La riforma Gelmini, razionale e tempestiva, non c'entra proprio nulla. Qualsivoglia ristrutturazione, quand'anche firmata Veltroni, sarebbe stata comunque usata come miccia. Intanto, sui mass media spunta il soccorso rosso di qualche malvissuto, che spara la ricorrente bischerata: che stia tornando il movimento studentesco? Io, da liberalsocialista, pensoso dei diritti costituzionali, già dal luglio scorso ho depositato alla Camera una proposta di legge, per sanzionare finalmente coloro che bloccano e picchettano. Ci vorrà coraggio, ma credo che si debba varare, per un'Italia più civile e più occidentale.

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