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Laura Della Pasqua [email protected] «Bene il ...

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Occorre anche più fiducia delle banche verso le imprese soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni». Giuseppe Morandini, presidente della piccola industria e vicepresidente di Confindustria, vuole verificare da vicino se la moral suasion esercitata da Bankitalia per agevolare la concessione di mutui, sia recepita effettivamente. Il decreto legge varato dal governo sarà efficace? «Il primo effetto del decreto è che restituisce un po' di tranquillità al Paese. Io vedo due nuovi grandi nemici: l'emotività e le speculazioni. In questi giorni di crisi gli imprenditori hanno continuato a fare il loro mestiere ma siamo arrivati al paradosso che le aziende sono state valutate dal mercato finanziario come se fossero aziende decotte. C'è un clima generalizzato di sospetto e di sfiducia che colpisce tutto il sistema imprenditoriale. C'è grande emotività e al tempo stesso alta speculazione e questi due fattori deformano i giudizi sulle imprese. Questo è inaccettabile. Quindi, bene il decreto ma non consideriamo chiusa la partita». Che cosa va fatto di più? «Occorrono regole nuove per i mercati finanziari basate su dati oggettivi». Le banche come si stanno comportando con le imprese? «In questi giorni sto girando per tutta l'Italia e gli imprenditori che incontro mi segnalano tutti lo stesso problema: l'aumento del costo del credito e le difficoltà di accesso al credito». La Banca d'Italia si è impegnata a rendere più snelle e rapide le procedure per i prestiti alle imprese. Crede che ci sarà un cambiamento reale? «Nel sistema del credito io vedo due livelli: la Banca d'Italia e i vertici delle banche. Bisogna vedere se il messaggio partito da Bankitalia e arrivato ai vertici degli istituti di credito giungerà anche agli sportelli delle filiali dove gli imprenditori vanno a chiedere i prestiti. Occorre che l'impegno di Bankitalia si trasferisca a tutti gli istituti bancari. Se io fossi un banchiere una cosa farei di sicuro». Insomma se lei da imprenditore diventasse banchiere cosa farebbe? «Se io fossi un banchiere sceglierei come bene rifugio proprio la piccola impresa perché è in grado di garantire ogni passo della crescita». Ma i piccoli non erano l'anello debole dell'economia? «La piccola è vulnerabile ma è il traino dell'intero Paese». C'è il rischio che la crisi impatti sull'occupazione? «Tutto è collegato. La piccola impresa è impegnata sull'internazionalizzazione perché i consumi interni languono e sulla riorganizzazione interna. Sono processi che costano e comportano investimenti. Se in questo momento le banche dovessero tirare i remi in barca, non è difficile immaginare cosa potrebbe succedere». Avete dati su quanti posti possono saltare e quante imprese rischiano di chiudere? «Non ci sono dati, ma il rischio è reale perchè è distribuito sull'intero territorio nazionale. Alla piccola impresa va riconosciuto di aver mantenuto finora i saldi occupazionali e di aver riassorbito i dipendenti usciti dalla grande industria. Ecco perché sostengo che siamo il bene rifugio delle banche». La crisi finanziaria inciderà anche sulla trattativa per la riforma dei contratti? «Il documento presentato da Confindustria propone quel cambiamento anche culturale di modernizzazione necessario nelle relazioni industriali. Da questa situazione così grave o si esce tutti insieme o non si esce. Bisogna fare squadra ognuno con le proprie responsabilità».

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