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Alfano li vuole rimandare

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Mentre l'opposizione parte all'attacco di queste ipotesi, però, gli stessi consiglieri del Guardasigilli esprimono una serie di dubbi. Secondo loro, infatti, gli stranieri interessati ad una soluzione di trasferimento sarebbero soltanto qualche centinaio, quelli cioè che debbono scontare condanne definitive molto lunghe. C'è fra l'altro da superare il vincolo posto dalle convenzioni internazionali che stabiscono l'indispensabile accettazione da parte del detenuto di voler proseguire la detenzione nel proprio Paese d'origine. Gli esperimenti realizzati con l'Albania, dove abbiamo perfino costruito il nuovo carcere, sotto questo profilo non sono certo rassicuranti. Un tentativo di accordo tra i ministeri dell'Interno e della Giustizia per gestire l'emergenza-carceri risale al febbraio scorso, con il governo Prodi. Ettore Ferrara, allora capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap), ipotizzò che, di fronte all'esaurirsi dell'effetto indulto e del ritorno dell'emergenza sovraffollamento, si sarebbe potuto puntare sul braccialetto, sugli accordi bilaterali per estradare i detenuti stranieri con pene inferiori a due anni, e sulla ristrutturazione delle carceri esistenti. Quanto al braccialetto, fu messa a punto una bozza di decreto interministeriale per un progetto pilota di trasferimento alla polizia penitenziaria, in cinque città, delle competenze di intervento. Se così fosse, i sindacati ritengono necessaria l'assunzione di un maggior numero di «baschi azzurri» e la creazione di una centrale operativa. Introdotto nel 2000, il braccialetto elettronico per i detenuti agli arresti domiciliari è stato impiegato assai poco in questi anni (quindici mesi dopo l'avvio della sperimentazione ne erano attivi appena 13 su un totale di circa 400 kit, mentre ad oggi non ve ne è nessuno in funzione). Il contratto stipulato anni fa dal Ministero dell'Interno (e valido fino al 2011) prevede un costo annuo di 11 milioni di euro all'anno, di cui 6 milioni per le spese di gestione di 400 braccialetti, che presentavano alcuni difetti di ricezione del segnale. Per quanto riguarda il braccialetto, una delle possibilità sarebbe (secondo indiscrezioni) dare alla Polizia penitenziaria il compito di intervenire nel caso in cui scatti l'allarme del braccialetto elettronico; competenza, questa, che per legge ora spetta a polizia, carabinieri e Gdf. Per definire in termini tecnico-organizzativi il problema, sarà istituito un tavolo tecnico Interni-Giustizia presso il Viminale. La prima riunione dovrebbe tenersi oggi. Intanto le polemiche non si placano. Per Di Pietro, Alfano «dopo l'impunità alle quattro più alte cariche dello Stato, vuole lasciare un solco ancora più profondo nella storia della giustizia avviandosi verso un indulto mascherato». Per D'Alema «non si capisce cosa propone il governo». Rita Bernardini, (Radicali/Pd) della commissione Giustizia della Camera, chiede ad Alfano «di adoperarsi per far rientrare le carceri italiane nella legalità costituzionale e per far questo l'unica strada è quella radicale riproposta da Luigi Manconi dell'indulto accompagnato dall'amnistia». D'accordo, invece, gli agenti di polizia penitenziaria: «Il braccialetto elettronico e la previsione di far scontare la pena ai detenuti stranieri nei loro paesi di provenienza, proposta che l'Ugl porta avanti da tempo, sono misure, al contrario dell'indulto, che possono contribuire a ridurre il sovraffollamento delle carceri e lo stato di tensione nelle prigioni», afferma segretario nazionale Ugl Moretti.

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