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Napoli, cambiare oppure morire

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L'assalto ai treni per recarsi a Roma da parte di gruppi di facinorosi nasce nella Napoli sbagliata dei disoccupati organizzati. Per oltre trenta anni si è assistito a scene di violenza gratuita (eppur fin troppo compatita e giustificata in termini di napoletanità) sul percorso fra Roma e Napoli. Al principio degli anni settanta nel capoluogo partenopeo e in provincia apparvero aggregazioni e sigle di disoccupati organizzati. Sembravano movimento, divennero istituzione: chiedevano ed ottenevano per sé e per persone da nominare la condizione di lavoratori socialmente utili. Le istituzioni locali si schieravano sempre al loro fianco, senza negare il loro patronage in occasione di trasferte a Roma al ministero del Lavoro o in altri dicasteri e talvolta addirittura a Palazzo Chigi. Rarissimi i dinieghi da parte di prefetti e questori. Dall'esercizio di questo singolare "diritto" alla piazza romana maturò una complessa trama di rapporti e raccordi istituzionali. Neanche il ripetersi di devastazioni e scontri con le forze dell'ordine, in tutto e per tutto analoghi a quelli di domenica, riuscì mai a incrinare la prassi di rassicuranti incontri fra delegazioni di disoccupati organizzati, rappresentanti di regione, provincia, comuni e ministro o sottosegretario di turno. Erano rassicurazioni autentiche. Dal 1993 ad oggi, stando a quanto scritto e documentato dal professor Amato Lamberti, per due mandati alla presidenza della giunta di centrosinistra alla provincia, 15 mila uomini e donne in grado di vantare continuità di partecipazione alle trasferte a Roma avrebbero poi trovato impiego "stabile e sicuro" (soprattutto, seppur non soltanto, tramite società miste attivate da comuni, provincia e regione). A questa protervia napoletana occorre che i napoletani migliori voltino le spalle. Né i generici appelli ad una buona napoletanità della società civile possono cancellare tanto sguaiate prestazioni della società incivile. C'è una lunga tradizione di illegalità organizzata che ha celebrato i suoi fasti nella rassegnazione all'immondizia. Da qualche mese il governo nazionale sembra voler reagire. La vergogna di aver creato a favore di tanti facinorosi una sorta di corsia privilegiata all'occupazione non può mimetizzarsi fra le cronache e i commenti dei giornali sportivi: c'è un diritto del lavoro da ripensare sul fronte dei fannulloni, ma anche sul fronte dei disoccupati organizzati. Con qualche amarezza tre mesi fa si disse che un'antica capitale era stata relegata al rango di prefettura. Dio volesse. Restituire o creare a Napoli statualità e coltivare fra i napoletani il senso dello Stato era quello che voleva Cavour alle origini della storia d'Italia. Dopo di lui lo desiderarono fino in fondo Croce e Fortunato: non perché non credessero nel federalismo o non amassero le autonomie locali, ma perché emergenza permanente, vittimismo organizzato, ribellismo cialtrone non fossero giustificati. Luigi Compagna

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